La nostra generazione ha la fortuna di vivere un vero e proprio cambiamento di era e di assistere alla scomparsa definitiva di una dimensione che per noi umani era diventata la normalità. La definisco una grande fortuna perché credo sia un momento bellissimo e interessantissimo per essere vivi. Una fase che qualunque essere umano dotato di un minimo di curiosità vorrebbe vivere, una vera e propria rivoluzione.
Al tempo stesso, però, è un passaggio caratterizzato da una grande pressione psicologica sulle nostre vite, dalla quale possiamo sfuggire solo attraverso un percorso educativo interiore che prenda poi forma nelle nostre manifestazioni esteriori, nella nostra relazione col mondo: la nostra vita è la nostra società fatta da tutte quelle entità che aggregano le persone.
La sfida di domani, per poter cavalcare il cambiamento ed evitare di subirlo, sarà soprattutto culturale. Non sarà una sfida impossibile, però sarà molto complicata. Io la definisco una sfida personale-culturale perché questo cambiamento, per potersi affermare senza violenza, prima che nella società dovrà manifestarsi nella coscienza delle persone che rappresentano quell’unità monocellulare di cui sono composte le entità che a loro volta compongono la società stessa (famiglia, governo, istituzioni, aziende). Quindi è necessario cambiare, evolvere e arricchire la nostra personale prospettiva, ora che siamo in una fase storica in cui stanno cambiando i paradigmi dell’intera società.
È in corso d’opera un’evoluzione dei meccanismi che finora hanno regolato il tessuto sociale, culturale ed economico. Per questo ognuno di noi deve capire se vuole essere protagonista attivo di questo cambiamento oppure subirlo passivamente. Per questo amo parlare di ri-evoluzione delle coscienze.
L’Eroe è per sua natura il protagonista, è colui che vive la storia, quello che compie il viaggio, non importa se fisico o mentale. È quello che di solito agisce, che protegge e serve. Più che la forza o il coraggio, la sua virtù è il sacrificio: la capacità di saper rinunciare a qualcosa di prezioso — anche la propria vita nei casi più estremi — per un ideale o per la comunità. È spinto da impulsi universali, guidato da valori ma non per questo senza difetti. Proprio la sua imperfezione e la sua incompiutezza — il tallone per Achille, per esempio — rappresentano il vero punto di partenza della sua avventura, il suo .0, e con essi il confronto-scontro è costante ma è solo grazie a essi che il personaggio impara e cresce lungo un percorso di apprendimento continuo. È colui che trova la forza di confrontarsi con la metamorfosi, con il cambiamento, e infine con la morte.
Un Eroe è un uomo semplice. Più che essere forte e potente è colui che compie uno straordinario e generoso atto di coraggio, che comporti o possa comportare il sacrificio consapevole di sé stesso, allo scopo di proteggere il bene altrui o il bene comune. È ogni persona realmente dedita a rendere questo mondo un posto migliore per tutti. L’antagonista, il “cattivo”, è la forza del lato oscuro insito in ciascuno di noi. Sono i mostri del nostro mondo interiore, le idee più buie e gli istinti più bassi che ci frenano e ci tengono fermi inchiodati alle nostre paure.
Per essere persone migliori bisogna dare importanza all’educazione. Credo che il talento primario di cui siamo stati dotati come esseri umani e che dovremmo onorare al massimo delle nostre facoltà, sia la capacità di saperci valorizzare nella collettività.
Credo che la comunità di cui ciascuno di noi fa parte, e di cui la famiglia è stata finora la massima espressione, sia il riferimento per eccellenza che abbiamo per capire il nostro reale valore. La famiglia è il luogo in cui possiamo misurarci per quello che veramente siamo.
Educare i nostri figli a essere migliori di noi è sicuramente un’impresa complessa ma se i nostri figli non fossero migliori di noi ma fossero identici a noi, o addirittura peggiori di noi, e se noi avessimo riprodotto pedissequamente su di loro il modello di nostro padre e lui, a sua volta, fosse la riproduzione di quello di nostro nonno, significherebbe che per quattro generazioni la nostra famiglia non avrebbe in alcun modo contribuito all’evoluzione della nostra specie.
Credo che dovrebbe appassionarci invece l’idea di contribuire alla collettività sostenendo chi arriva dopo di noi a essere migliore di noi, vivendo con intensità sia le gioie sia le sofferenze. Per questo cerco di accogliere ciò che mi viene offerto come fosse un dono, cercando di immaginarmi di essere anche io un dono per gli altri: è questo ciò che mi ha sempre sostenuto nel tentativo di dare un senso alla vita.
Ogni volta che incontri e poi lasci qualcuno, lascialo migliore di prima che lo incontrassi: questo è per me sentirsi un dono.