Mentre la nostra attenzione è concentrata sulla guerra in Ucraina, in molte parti del mondo le disuguaglianze aumentano.
Tutti da piccoli abbiamo ascoltato le favole, e tutti le abbiamo raccontate e anche da grandi le ricordiamo perfettamente. Perché? Perché quel loro modo di “dire senza dire” ha un’azione pedagogica sotterranea, e per questo efficace, per la crescita armonica della personalità.
Le metafore servono a insegnare il senso della vita senza essere pesanti, respingenti, inutilmente e infruttuosamente moralizzatori. Quante ne ricordi? Quali racconti? Io adoro quelle classiche, di Esopo, di Fedro, che affidano l’insegnamento morale alla voce animale, un messaggio anche questo non proprio trascurabile. Ma amo anche quelle di Andersen e dei fratelli Grimm.
Ogni volta che mi raccontavano Biancaneve inevitabilmente mi ritrovavo a fantasticare di avere per le mani lo specchio magico. Quello posseduto dalla matrigna cattiva. Perché lo spirito onnisciente che lo abitava dava a colui che lo interrogava, la possibilità di aprire una finestra sulla realtà delle cose e farlo accedere a tutte le informazioni del mondo.
Wow! Che potenza, soprattutto in un’epoca in cui il mondo era un luogo enorme e sconosciuto. Sprecata per chi, terrorizzata dall’idea che arrivasse una possibile alterazione del suo status quo, sapeva chiedere sempre e solo conferma alla propria vanità, no?
Beh, dal “c’era una volta” a oggi è cambiato tutto. Il mondo che ci ospita è totalmente diverso, non si costruiscono più castelli ma grattacieli, non ci sono più cavalli e carrozze ma razzi e satelliti, e di specchi onniscienti ne abbiamo più di uno a testa. Li teniamo sempre a portata di mano e possiamo interrogarli in ogni momento, bastano le formule magiche “Hi Google”, “Hey Alexa”, “Ciao Siri”.
Quello che non è cambiato però è quel che facciamo una volta aperta la finestra sul mondo. Secondo la Mappa dell’intolleranza 2019, realizzata da Vox, l’Osservatorio Italiano sui diritti, in collaborazione con l’Università Statale di Milano, l’Università di Bari, La Sapienza di Roma e il Dipartimento di sociologia dell’Università Cattolica di Milano, l’Italia è un Paese di haters cattivi e carichi di rabbia che si accaniscono soprattutto contro migranti, ebrei, musulmani, e contro le donne, tronfi e orgogliosi del proprio diritto di odiare, mutuati dal linguaggio comune della politica. Le categorie verso le quali sono indirizzati i messaggi di odio, rappresentano la nostra preoccupazione e la paura per il “diverso” il che purtroppo può essere definito solo come un chiaro segno del nostro razzismo.
Il meccanismo è stato spiegato molto bene dalla neurobiologa italiana, premio Nobel nel 1986, Rita Levi Montalcini. Il cervello umano è fatto di due cervelli: uno arcaico localizzato nell’ippocampo che controlla tutte le emozioni e che non si evolve da tre milioni di anni e non differisce molto tra l’homo sapiens e i mammiferi inferiori. L’altro, quello cognitivo, molto più giovane, nato con il linguaggio, in 150.000 anni ha avuto uno sviluppo straordinario, specialmente grazie alla cultura.
Tutte le grandi tragedie, la Shoah, le guerre, il nazismo, il razzismo ecc., secondo la scienziata, derivano dalla prevalenza della componente emotiva su quella cognitiva. Ricordo che in un’intervista affermò che bisognerebbe spiegare ai giovani la faccenda dei due cervelli poiché i giovani di oggi si illudono di essere pensanti. “Il linguaggio e la comunicazione - diceva - danno loro l’illusione di stare ragionando. Ma il cervello arcaico, maligno, è anche molto astuto e maschera la propria azione dietro il linguaggio, mimando quella del cervello cognitivo.”
Le domande che dobbiamo urgentemente porci sono: vogliamo rimanere per sempre ostaggi di questa visione del mondo, oppure vogliamo assumerci le nostre responsabilità ciascuno nella propria sfera di conoscenze, competenze e influenze per far cambiare finalmente il modo di vivere noi stessi, il nostro tempo e quello futuro e il Pianeta?