Nell’epoca dominata dal LOL, ridiamo di tutto e senza ritegno né misura, dal racconto d'estate di Elkann al presidente degli USA che stringe la mano a un amico immaginario.
Quanti di noi saprebbero vivere, lavorare, relazionarsi e comunicare senza email? Allo stesso modo, quanti di noi saprebbero chiedere di rapportarsi con un medico in carne e ossa e non con una intelligenza artificiale preposta alla funzione?
Sembra una provocazione eccessiva, vero? E invece sto solo rappresentando un domani molto più vicino di quanto crediamo!
Secondo una ricerca di Capgemini, per esempio, i consumatori interpellati hanno detto di attribuire lo stesso livello di fiducia ai consigli sui prodotti dati dagli assistenti vocali, tanto quanto ai consigli dei venditori in carne e ossa.
Negli Stati Uniti 4 utenti internet su 10 preferiscono usare i servizi automatizzati delle aziende piuttosto che parlare con il servizio clienti.
A livello globale, a dichiarare di usare strumenti a comando vocale nel 2017 era il 34% degli utenti del web, nel 2019 era già il 43%, e con lo sviluppo migliorativo che questa tecnologia sta avendo, la diffusione d’uso può essere sorprendente.
Quindi stiamo rinunciando al “tocco umano” per il tech?
Con una media globale di connettività Internet di quasi sette ore al giorno, generata dalla nostra dipendenza oramai conclamata dallo smartphone, abbiamo permesso che quasi tutte le nostre esperienze umane vengano mediate dalla tecnologia. La comunicazione, la mobilità, il lavoro, il divertimento, le passioni, gli interessi… tutto passa dalla mediazione tecnologica, anche l’istruzione e l’assistenza sanitaria.
Ma adesso che questo modello si è radicato, sapremmo e potremmo rinunciarvi o abbiamo raggiunto il punto di non ritorno?
Le fasce più patrimonializzate della popolazione già si sono poste molte domande e hanno scelto dimensioni di vita che le distinguano dalle masse. Il “tocco umano”, contro le esperienze tecnologiche di massa, è il loro nuovo lusso. Spendere per prodotti artigianali e non industriali, per alimenti provenienti da agricoltura familiare e non intensiva, per mandare i propri figli in scuole senza tecnologia (o come dicono le élite tecnologiche in Usa: “back-to-basics”) è il segnale dell’emergente tendenza alla “premiumizzazione” delle abitudini.
Come osserva un illuminante recente articolo del New York Times: nel tentativo di porre rimedio al “digital divide” potremmo averne prodotto un altro in cui i cardini dell’interazione umana come le lunghe conversazioni, il contatto visivo, le manifestazioni d’affetto, il gioco, la cura, sono sempre più a carico di schermi e assistenti vocali che nelle famiglie a basso reddito devono sopperire al costo di genitori, insegnanti e operatori sanitari.
Dunque, il tocco umano potrebbe diventare un nuovo indicatore di classe sociale?
Negli USA, in Canada, Australia, Europa e Giappone il trend è già evidente: al più alto reddito corrisponde minor tempo impiegato con telefonini, desktop e TV.
Siamo a un bivio cruciale: perderci per sempre in una sorta di autodeterminazione incontrollata o tornare alla nostra essenza originaria che individua nell’essere umano la migliore delle tecnologie mai esistite su questo Pianeta lasciando che la tecnologia si contamini con la filosofia e con l’arte e si doti di uno scopo e di un senso che vadano oltre i soli principi di utilità e impongano all’economia di incarnarsi non solo nel concetto di redditività ma anche di impattare la collettività e il Pianeta in maniera orientata al perseguimento di un vantaggio comune per l’intera umanità.
Solo chi sarà ispirato de una vera vocazione profonda al bene comune, potrà considerarsi veramente un innovatore. La vera innovazione sarà muovere negli altri un autentico senso di Gratitudine.