Nell’epoca dominata dal LOL, ridiamo di tutto e senza ritegno né misura, dal racconto d'estate di Elkann al presidente degli USA che stringe la mano a un amico immaginario.
L’opinione comune più diffusa nei mesi scorsi, riteneva che il lockdown avrebbe certamente favorito il processo di livellamento degli impegni sociali e familiari di uomini e donne eliminando quegli stereotipi che vedono le donne meno flessibili e con una carriera meno longeva. Invece, se esaminiamo i risultati dell’indagine Kaspersky “Women in tech”, sebbene il 45% degli intervistati abbia dichiarato che il lavoro da remoto può facilitare il raggiungimento della parità di genere nello specifico delle posizioni IT come possibile motore per le pari opportunità, nella realtà dei fatti il persistere di pregiudizi sociali ha ostacolato questa potenziale svolta, tant’è che il 47% delle donne italiane ritiene che gli effetti della pandemia abbiano ostacolato la loro carriera.
Alcuni dati emersi da questo report sono molto interessanti poiché evidenziano come i potenziali vantaggi del lavoro da remoto, per le donne sono stati invece oscurati da alcune dinamiche sociali che le vedono sempre e comunque farsi carico della solita dicotomia tra lavoro e vita familiare. Indagando più a fondo le ragioni di questo disequilibrio – spiega il report - diventano più chiari infatti, quali sono stati gli impegni quotidiani che hanno in qualche modo influito sulla loro produttività: il 60% ha indicato i lavori domestici contro il 36% degli uomini, il 66% l’home schooling contro il 37% degli uomini.
Certo, gli effetti della pandemia non sono stati gli stessi per tutte le donne: alcune hanno maggiormente apprezzato la flessibilità che questa nuova modalità lavorativa cosi come la possibilità di evitare gli spostamenti da casa all’ufficio, altre, invece, hanno ammesso di essersi sentite sull'orlo del burnout. Ma è fondamentale – asserisce - che le aziende diano supporto alle proprie dipendenti in questo senso.
La realtà attuale conduce il dibattito sulla questione di genere a scongiurare due livelli di rischio, il primo è che la modalità lavorativa detta smartworking non finisca per rinchiudere di nuovo le donne nei confini casalinghi in dinamiche aggravate da ulteriori oneri che vanno dalla cucina alla gestione dei pasti all’igiene domestica e alla cura dei figli. Il secondo è che il dibattito stesso sbiadisca sino a diventare invisibile per uscire così dall’agenda politica di un Paese come il nostro dove già il tasso di occupazione delle donne è di 18 punti percentuali più basso di quello degli uomini. Dove il lavoro part time riguarda per il 73,2% le donne e non è volontario nel 60,4% dei casi. E dove i redditi complessivi delle donne sono mediamente inferiori del 25% rispetto a quelli degli uomini.
È importante agire con tempismo e determinazione anche nell’ottica delle politiche rivolte alle donne appartenenti alle nuove generazioni che purtroppo scontano anche il fenomeno dei Neet: tra i giovani fra i 15 e i 34 anni che non hanno un lavoro e non sono impegnati in corsi di studio e formazione, il divario di genere è di circa 7 punti percentuali.
Sicuramente quella in cui stiamo vivendo è un’epoca in cui sul mercato si scontrano due diverse visioni del mondo: quella che ignora l’istanza sempre più crescente in fatto di benessere collettivo dunque di inclusione, trasparenza, etica di impresa, in sintesi di sostenibilità, non percependo ancora alcun ritorno positivo da investimenti in questi ambiti. E quella che ci crede e si impegna a fondo pur temendo di venire punita dal mercato. È alla prima che mi rivolgo: è il tempo di cambiare! Se rimaniamo legati a pregiudizi e concezioni antiquate non riusciremo a cogliere le opportunità aperte dai grandi cambiamenti globali e rischieremo di andare a sbattere.