Nell’epoca dominata dal LOL, ridiamo di tutto e senza ritegno né misura, dal racconto d'estate di Elkann al presidente degli USA che stringe la mano a un amico immaginario.
Nell’ultimo anno gli utenti delle piattaforme social sono aumentati del 13%, crescendo di quasi mezzo miliardo di nuove unità. In pratica, oltre 1,3 milioni di persone in più ogni giorno, 15 al secondo. Nel mondo a essere connessi tramite i social siamo, oggi, in 4,2 miliardi.
Pur se in misura più contenuta rispetto agli anni scorsi, continua a crescere anche la quantità di tempo che passiamo su queste piattaforme, salita a quasi 2 ore e mezza al giorno. Tuttavia negli ultimi mesi, probabilmente a causa delle nuove regole sulla privacy annunciate da WhatsApp e per la reazione preoccupate che ne sono seguite, molte persone hanno preferito affidarsi ad applicazioni di messaggistica alternative. Telegram, per esempio, ha dichiarato di avere ormai superato i 500 milioni di utenti attivi nel mondo.
Un trend simile a quello di una seconda alternativa gratuita all’onnipotente WhatsApp: Signal, che dai precedenti 500 mila utenti oggi ne conterebbe più di 40 milioni. Colui che l’ha fondato, Moxie Marlinspike, sostiene che la tecnologia debba fondarsi sulla sicurezza dei suoi utenti. Ecco perché la sua app, basata su un sistema di crittografia end-to-end proprietario, rende qualsiasi contenuto, sia esso chat, video, emoticon o vocale, leggibile esclusivamente da chi lo invia e da chi lo riceve. Chiunque provasse a intercettarlo si troverebbe davanti a una massa priva di senso compiuto di numeri e lettere.
Su Signal ci sono riflessioni e opinioni differenti. Da un lato la sua crescita è vissuta come un segnale positivo, perché a una maggiore utenza corrisponde anche una maggiore consapevolezza che privacy e sicurezza, asset che dovrebbero essere considerati fondamentali da proteggere e troppo spesso invece sacrificati sull’altare della comodità e della gratuità. Dall’altro tuttavia Signal è motivo di timore, in quanto permettendo una facile creazione di chat con elevati numeri di partecipanti e non prevedendo alcun genere di controllo sui contenuti - neppure da parte degli amministratori della app - la piattaforma potrebbe diventare la patria più ospitale al mondo per gruppi terroristici o organizzazioni criminali.
Sta di fatto che Signal è diventata in breve tempo un’app di massa, consigliata dal Wall Street Journal e forte dell'endorsement del ricchissimo e controverso Elon Musk. Non soltanto perché sin dal suo esordio si è focalizzata sullo sviluppo di un software libero e open source, ma anche per via della sua natura aziendale. Signal opera infatti come un'organizzazione no-profit. Coprendo dunque i costi attraverso donazioni e sovvenzioni, può offrire il proprio servizio come bene pubblico. Ciò le permette di pianificare e agire senza l’assillo dell'inseguire utili e dividendi: Signal Foundation non può essere comprata da altre aziende, non può andare in Borsa e deve necessariamente reinvestire gli utili.
Un approccio agli antipodi rispetto a quello del colosso di Menlo Park che abbiamo imparato a conoscere anche per il modello di business. La galassia di Zuckerberg - composta da Facebook, Messenger, Instagram e WhatsApp - si basa infatti sulla raccolta pubblicitaria, a cui sono riconducibili quasi tutti i 21,5 miliardi di dollari di entrate registrate nel terzo trimestre dell’anno scorso. Quello di Signal è una rivoluzione anche rispetto all’approccio dell’intera Silicon Valley, che oggi ha nelle sue aziende un valore per capitalizzazione di mercato di 7.500 miliardi di dollari. Circa il doppio del prodotto interno lordo della Germania, per dare un'idea generale, e quasi quattro volte tanto quello italiano. Un valore che è cresciuto anche per via del ruolo che queste aziende ricoprono nelle vite di miliardi di persone.
Che l’impennata di consensi riscossi da Signal possa segnare l’inizio di una trasformazione all’insegna non solo del rispetto della privacy delle persone, ma anche degli stessi assetti che sottostanno alla creazione del profitto, è un pensiero lecito. Soprattutto non scontato e non marginale se pensiamo che di questo passo nel 2021 destineremo complessivamente sulle piattaforme social un tempo delle nostre vite equivalente a oltre 420 milioni di anni.