Una delle più imponenti illuminazioni che ho derivato dalla fortuna delle tante chiacchierate fatte con l’amico Patch Adams (l’originale e non il personaggio del famoso film interpretato da Robin Williams), nasce dalla sua convinzione che se si cura una malattia, si può vincere o perdere; ma se si cura una persona, si vince sempre, qualunque sia l’esito della terapia.
Non è dunque solo il “fattore cura” la chiave risolutiva per qualsiasi contesto di crisi e di incertezza come quella in cui ci ritroviamo adesso; se essa non pone l’uomo al centro della propria vocazione, avrà un risultato giocoforza parziale e insufficiente per una risposta d’insieme.
Se indossiamo questa lente, l’osservazione del processo evolutivo che avrà il mondo nei prossimi 3 anni, per via della forte accelerazione data dalla tecnologia, dal digitale e dalla automazione, avverrà in un’ottica controcorrente, e i dati delle importanti ricerche condotte a livello globale, appariranno in una luce differente. Di sicuro i prossimi anni registreranno la scomparsa di 75 milioni di posti di lavoro che sono diventati obsoleti perché sostituiti dalle macchine. Contemporaneamente però, assisteremo alla nascita di 133 milioni di nuove opportunità occupazionali. Solo in Italia si stima che ci sarà bisogno di 2.5 milioni di occupati in più.
Uno degli aspetti principali di questa prospettiva ci racconta che gli individui potranno sempre più ambire a svolgere attività qualitativamente evolute, con una intuibile ricaduta positiva sulla qualità della vita intellettuale, psicologica e perché no, anche economica. Mestieri e saperi in larga parte ancora in divenire e che, in virtù della loro condizione ancora non codificata, siamo umanamente incapaci di registrare come dato di fatto. La qual cosa li rende a tutti gli effetti inesistenti ai più. È una questione di percezione.