E’ fondamentale perseguire una vita continuamente orientata alla ricerca e conservazione di quella Conoscenza che è Verità e, al contempo, alla costante ricerca dell’innovazione che è evoluzione della conoscenza pregressa.
“Sapere è potere” sembra un aforisma ridondante, quasi banale, eppure suona sempre tanto forte e penetrante quanto semplice è l’essenza delle poche parole che lo compongono. A metà del XVI secolo si è assistito alla prima rivoluzione della conoscenza: l’invenzione della stampa, che ha reso la conoscenza dell’epoca accessibile come mai era stato possibile prima della scoperta di Gutenberg. Centinaia di anni dopo la radio e la tv hanno determinato la seconda rivoluzione, invadendo la nostra vita, dapprima con rispetto e moderazione e poi con una inaspettabile invadenza. Verso la fine del secolo scorso il web ha determinato la terza rivoluzione, prima lentamente e poco dopo velocissimamente, consentendo l’accessibilità a chiunque di tutta la conoscenza esistente, o quasi.
Leggevo in un articolo (ma non ne veniva citata la fonte) che il 90% circa di tutti gli scienziati che sono vissuti sul nostro pianeta sono in vita proprio in questa epoca. Verrebbe da dire che proprio la ‘conoscenza’ sia divenuta il vero campo di confronto (battaglia?) tra schieramenti personali, aziendali, politici, sociali. E ciò che rende il tutto eclatante è che proprio la conoscenza ha una facoltà rara, tipica di poche cose essenziali: non è isolabile. Internet ha reso disponibile tutto a tutto, in ogni istante e in ogni momento. Fino a divenire esso stesso, grazie a esempi quali Wikipedia, il generatore e l’organizzatore di tutto lo scibile, lasciando a chiunque la facoltà di aggiungere (propri e personali) pezzi di conoscenza alla conoscenza del tutto.
Tornando al nostro aforisma, se la conoscenza è potere allora il potere sta divenendo potenzialmente di tutti. Tornando con la memoria ai miei studi filosofici, mi chiedo se questa condizione contrasti fortemente col pensiero di un maestro assoluto, Socrate, il quale diceva “So una cosa soltanto, di non sapere nulla”. E riesco a conciliare queste due prospettive apparentemente divergenti con una semplice consapevolezza: c’è una Conoscenza che è Verità, che è Legge, perché ricorre da sempre, perché si manifesta ripetutamente, in ogni dove, in ogni epoca, in ogni condizione, sempre allo stesso modo. Possedere questa conoscenza è possedere l’elisir del Grande Sapere che alimenta la vita.
C’è poi una conoscenza che deperisce. Era dopo era, epoca dopo epoca, anno dopo anno, giorno dopo giorno, istante dopo istante, ciò che è conoscenza ora non lo è già più dopo un solo attimo. Per questo è fondamentale perseguire una vita personale e professionale continuamente orientata alla ricerca e conservazione di quella Conoscenza che è Verità e, al contempo, alla costante ricerca dell’innovazione che è evoluzione della conoscenza pregressa.
Nelle aziende questa indagine è l’unica garanzia di sopravvivenza, per questo credo fortemente nel pensiero di David Vice (ex CEO della Northern Telecom) il quale era solito affermare: “In futuro ci saranno due tipi di aziende: quelle veloci e quelle morte”. Le aziende veloci saranno quelle che avranno capito che il confronto con la concorrenza avverrà sul territorio del management delle persone più che del management dei processi e delle procedure.
Nell’articolo pubblicato sul numero di “Mente” di dicembre 2011 (“Steve, uno di noi”) Francesco Cardinali ricorda come Steve Jobs – cito testualmente l’articolo – fosse stato maestro anche in questo. Egli infatti dava tantissima importanza a tutte quelle forme di arte e conoscenza che oggi potremmo genericamente riassumere nella parola ‘cultura’.
Il team che ha sviluppato Macintosh aveva come riferimenti l’antropologia, l’arte, la storia e la poesia, con l’obiettivo di trasfonderle poi nella tecnologia. E Jobs non ha mai fatto segreto di questo approccio filosofico che ha segnato la differenza fra il brand Apple e tutte le altre aziende operanti nel settore dell’information technology. Come dichiarò in un’intervista a Wired “le innovazioni più durature sono quelle che uniscono arte e scienza”.
Oggi il potere risiede nel controllare la più preziosa e scarsa delle risorse esistenti sul pianeta: l’intelligenza dell’uomo, sia intellettuale che emotiva. E tale risorsa ha la singolare caratteristica dell’appartenenza soltanto a chi la possiede: l’individuo, la persona. E tutto questo vale in tutti i contesti ove vi sia un confronto o una sfida fra due o più entità (es. nella politica, nella società, nello sport).
Ma l’intelligenza umana, intellettuale ed emotiva, per quanto sia la risorsa più rara fra quelle esistenti su questo pianeta, ha una caratteristica che la rende assolutamente unica e che la differenzia da tutte le altre: è coltivabile, è alimentabile, ed è quindi potenzialmente infinita. Il suo nutrimento è l’educazione. L’educazione del cervello e l’educazione del cuore. L’educazione della mente e l’educazione delle emozioni.
Il confronto si sta dunque spostando sempre più dagli asset tangibili (prodotti e servizi) a quelli intangibili (idee ed emozioni), e l’istruzione continua e per tutta la vita (longlife learning) è il miglior investimento da fare su sé stessi e su qualunque forma di associazionismo fra le persone (aziende, squadre sportive, partiti politici, associazioni culturali, …).
I luoghi di incontro fra le persone (anche e soprattutto le aziende e i luoghi pubblici) dovrebbero quindi trasformarsi in serbatoi di conoscenze e di continui stimoli per il nostro cervello e per il nostro cuore. Luoghi che sollecitino, in chi li frequenta, idee ed emozioni. Meglio se generando stimoli come lo stupore e la meraviglia. Non dimentichiamoci che in un qualsiasi incontro fra due o più persone, più che un incontro fra due o più corpi ciò che avviene è un incontro fra due o più cuori, fra due o più menti.