«Certo, è pienamente comprensibile che le donne reagiscano con decisione se durante un evento organizzato per raccontare la presenza femminile della moda italiana un’imprenditrice del settore arrivi ad affermare che nella sua azienda, la Betty Blue, si assumono solo lavoratrici che hanno superato i quarant’anni – le “anta”, nella sbrigativa etichetta suggerita dall’incontenibile relatrice – perché avrebbero compiuto “tutti e quattro i giri di boa” che consentono di lavorare “acca ventiquattro”: hanno raggiunto la maturità, si sono sposate, hanno fatto figli e si sono separate. Inoltre, ci ha tenuto a precisare la stilista, non va dimenticato che le donne hanno “un preciso dovere, che è quello scritto nel DNA”: accudire i figli e “accendere il camino a casa”» ha scritto la scorsa settimana Andrea Merlo sul quotidiano il Domani, mentre infuriava la polemica scatenata dalle incaute affermazioni dell’imprenditrice Elisabetta Franchi. L’autore aggiunge che «se tuttavia sui social ha tenuto banco la polemica sul sessismo con tanto di hashtag di tendenza #senzagiridiboa, il punto centrale dovrebbe essere un altro, poiché il discorso sulle “anta” prima di tutto ci dice quel che la Franchi si attende dai suoi dipendenti e cioè che lavorino «acca ventiquattro» e non abbiano diritti da reclamare o pretese da avanzare. Ma anche che le sue idee prima ancora di essere sessiste e retrograde, si fondano su una visione schiavistica del lavoro. Cosicché si chiede e ci chiede come mai nessuno, pur partecipando al linciaggio mediatico dell’incauta imprenditrice, se ne sia accorto e lo abbia evidenziato.»
Ovviamente lungi da me commentare nello specifico la vicenda di cronaca, già ampiamente dibattuta e spremuta, né tantomeno esprimere giudizi sulla persona direttamente coinvolta, poiché le qualità dei nostri imprenditori spesso e volentieri sono più evolute di quanto non le raccontiamo. Quel che mi interessa, invece, è cogliere il destro offerto dalla vicenda domestica per capire cosa stia accadendo nel rapporto tra individui e mercato del lavoro altrove nel mondo, dopo che più di due anni di pandemia hanno scardinato pregiudizi, false credenze e sovrastrutture di pensiero e di comportamento.
La situazione in Cina: la filosofia del Tang Ping
In Cina, per partire dal territorio più popolato al mondo con il suo 19,5% del totale mondiale, a fronte di un mercato del lavoro molto competitivo e allo stesso tempo precario, da oltre un anno i giovani hanno creato una filosofia di vita chiamata “Tang ping”, che letteralmente significa “sdraiarsi a terra”. Una ribellione silenziosa alle interminabili ore in ufficio e alle esigenze di un mondo materialista che, a una società che chiede di essere più produttivi per misurare il successo personale e sociale, risponde con il non fare nulla. Con lo sdraiarsi a terra. Cosicché, in Cina è in corso la rivoluzione degli sdraiati. Come scrive il tedesco Die Zeit: “stanchi delle aspettative dei genitori, dei datori di lavoro e dello stato, milioni di giovani cinesi decidono di ritirarsi dalla società e vivere a modo loro”.
Il lavoro in Giappone: le richieste di indennizzo per “karoshi”
Ma la forte reazione a una cultura del lavoro ancorata a vecchi paradigmi non è prerogativa del solo gigante asiatico. Nuove strade si intraprendono anche in vari altri Paesi, come le prime sperimentazioni della settimana lavorativa di 4 giorni. Il Giappone è uno di questi, e d’altro canto un Paese nel quale le richieste di indennizzo per karoshi, cioè per morte da troppo lavoro, sono aumentate del 43% rispetto a dieci anni fa, aziende come Hitachi, Game Freak, Panasonic e Nec non potevano non intraprendere questa strada. L’indonesiana Alami, azienda nel campo dei prestiti tra privati, l’ha introdotta nel 2021 e la sudcoreana Eduwill, che si occupa di istruzione, ancora nel 2019.
L’India e gli orari di lavoro
Anche l’India, il secondo paese più popolato al mondo dopo la Cina, con i suoi 1,38 miliardi di abitanti, dovrebbe varare un nuovo codice del lavoro che rispetti il concetto di riposo e lo tuteli: le aziende che vogliano aumentare le ore giornaliere da 8 / 9 a 12 devono garantire ai lavoratori un giorno di riposo in più. Questi primi segnali di cambiamento, scrive Nikkei Asia, sono una reazione a una cultura del lavoro controproducente.
Non mi stancherò mai di dire che per conquistare la fiducia dei più giovani, le aziende dovranno avere più coraggio nel ripensare le proprie legacy, per essere più libere di operare in mercati inesplorati; nel rimodellare i propri assetti organizzativi e assolvere a nuove funzioni; nel dotarsi di nuovi modelli di business; nel rivedere le allocazioni delle due risorse più preziose – budget e tempo– riordinando le loro priorità; nell’investire in cultura al proprio interno, per rimettere l’essere umano al centro del sistema-impresa.