Questo mio post vorrebbe essere una semplice lettera aperta, con la speranza che la sua eventuale lettura possa dare un seppur minimo contributo a una maggior assunzione di responsabilità da parte di ciascuno di noi; una nota contraria a questa sequenza di fatti incoscienti che si è innescata in questa caldissima estate in cui tutti si sono sentiti in dovere di parlare e scrivere di tutto e su tutto.
In troppi crediamo oramai di avere idee chiarissime sulle condizioni socio-politiche-economiche che hanno determinato i terribili attentati di questa estate in Burkina Faso, a Barcellona, a Turku in Finlandia e in Siberia; così come le abbiamo sul potenziale conflitto nucleare tra USA e Korea del Nord; così come le abbiamo sulle ONG e gli immigranti o la prossima spartizione del territorio libico; così come le abbiamo sui licenziamenti e/o le dimissioni a raffica di vari membri del team di Trump o sulle manifestazioni dei suprematisti bianchi in alcuni Stati americani; così come le abbiamo sul clima e il surriscaldamento globale o sui pestaggi assassini avvenuti fuori dalle discoteche.
Confondiamo oramai regolarmente la religione di un popolo (ebrei, cristiani, mussulmani, induisti, buddisti o altro non fa differenza) con la sua cultura e le sue abitudini sociali, senza nemmeno tenere quasi mai conto della dimensione spirituale oramai regolarmente confusa con quella religiosa.
Parliamo indistintamente della veridicità dell’olocausto come di quella di un fallo da rigore durante una partita di calcio, di terrorismo come di cucina, di clima come di disoccupazione.
Confondiamo le spiagge delle nostre vacanze con quelle su cui sbarcano gli immigranti, e non distinguiamo il rischio di una potenziale guerra nucleare dal confronto-scontro tra Elon Musk e Mark Zuckerberg sulle pericolose derive dell’intelligenza artificiale. Tutti fatti intercorsi nei mesi estivi.
Così facendo restiamo focalizzati sempre solo su noi stessi, sulle nostre ‘cose’: sui nostri affari domestici, sul nostro giardinetto di casa, sul nostro Paese. Facciamo perfino fatica a contenere l’esistenza di un arco temporale che contempli un periodo che vada più in là di quello che separa i nostri nonni dai nostri nipoti; e per la maggior parte di noi è ancora più semplice focalizzarci solo sull’arco che separa i nostri genitori dai nostri figli, come se quanto accaduto prima di allora e quanto accadrà dopo non ci riguardi affatto.
L’unica vera domanda possibile credo invece che dovrebbe essere: “Cosa posso fare io per cambiare le cose?”. L’unica vera considerazione possibile credo che potrebbe essere: “Smetterla di delegare ad altri la responsabilità sulle nostre vite!”, liberandoci così da quell’equivoco sociale che ci induce a ripeterci incessantemente “non dipende da me”.
Sono fermamente convinto, infatti, che ciascuno di noi sia la sola-vera-possibile soluzione perché ciascuno di noi è il solo-vero problema. Finché continueremo a cercare fuori di noi questa soluzione e a farci le domande sbagliate, rapiti solo da ciò che è invece vacuo e impermanente, troveremo solo strade senza uscita. Anzi, troveremo strade tutte con un’unica uscita: un vero e proprio suicidio di massa di un intero genere; il nostro genere, quello umano.