E’ il caos dell’informazione, bellezza

Dopo averci eliminati dal playoff per i Mondiali di calcio, la Macedonia del Nord si piazza davanti a noi anche in un’altra classifica: quella della libertà di stampa. Nel 20° Indice mondiale della libertà di stampa pubblicato da Reporter Senza Frontiere (l’organizzazione non governativa e no profit fondata a Montpellier nel 1985 da Robert Ménard, Rémy Loury, Jacques Molénat e Émilien Jubineau per promuovere e difendere la libertà di informazione) l’Italia è scesa dal 41esimo al 58esimo posto. Dopo la nostra nemesi macedone, appunto, e appena meglio del Niger.

Se è vero l’aforisma di Churchill secondo cui gli italiani perdono le guerre come fossero partite di calcio, e le partite di calcio come fossero guerre, il drammone del secondo Mondiale di fila ad andare in scena senza gli Azzurri in campo è stato tutto sommato digerito con dignità. Mentre le 17 posizioni perse sul terreno della libertà di stampa dovrebbero probabilmente avere un peso maggiore nel dibattito pubblico, perché spia di un deterioramento negli equilibri che determinano la formazione delle opinioni in un grande Paese democratico. La tempesta di fake news legate alla pandemia e ai vaccini e dilagate nei social è soltanto un esempio di come le tante distorsioni informative siano un fenomeno capace di aggirare gli argini attualmente in essere, siano essi legislativi o di mentalità o abitudini digitali dei singoli individui.

Vero è che il report RSF, aldilà delle questioni di casa nostra, offre un quadro abbastanza preoccupante in termini globali: siamo entrati in una nuova era di polarizzazione, in cui imperversano gli effetti disastrosi delle notizie e del caos dell’informazione. Si tratta proprio degli effetti di uno spazio informativo online globalizzato e non regolamentato, che incoraggia le fake news e la propaganda. E che non risparmia affatto le democrazie.

 

Il modello Fox News

Quel che sta accadendo all’interno delle società democratiche – evidenzia il report – è l’aumento delle divisioni prodotte dalla diffusione dei cosiddetti media d’opinione che seguono il “modello Fox News” e dei circuiti di disinformazione, amplificati dalle logiche di funzionamento dei social media. A livello internazionale le democrazie sono indebolite dall’asimmetria tra società aperte e regimi dispotici, che controllano i loro media e le piattaforme online mentre conducono guerre di propaganda contro le democrazie. Cosicché la polarizzazione su questi due livelli sta alimentando una situazione di maggiore tensione.

La guerra tra Russia e Ucraina riflette questo processo, poiché il conflitto fisico è stato preceduto da una guerra di propaganda. Così come fa la Cina, uno dei regimi autocratici più repressivi del pianeta, che usa il suo arsenale legislativo per confinare la sua popolazione e isolarla dal resto del mondo, in particolare la popolazione di Hong Kong.

 

La Polarizzazione nelle Democrazie Occidentali

Se i regimi, come da copione, reprimono, nelle società democratiche la polarizzazione dei media sta alimentando e rafforzando le divisioni sociali interne. Ne abbiamo un esempio negli Usa nonostante l’elezione del presidente Joe Biden, ma anche nella Francia di Macron, dove l’aumento della tensione sociale e politica è alimentato dai social media e dai nuovi media di opinione. Una forte polarizzazione si consolida anche nelle democrazie illiberali, come la Polonia, dove le autorità hanno consolidato il loro controllo sulla radiodiffusione pubblica e la loro strategia di “ri-polonizzazione” dei media privati.

Insomma, la situazione è classificata come “pessima” in un numero record di 28 Paesi nell’Indice di quest’anno, mentre 12 stati, tra cui Bielorussia e Russia, sono sulla lista rossa dei peggiori Paesi al mondo per la libertà di stampa che include il Myanmar, dove il colpo di stato del febbraio 2021 ha riportato la freedom of press indietro di 10 anni, Cina, Turkmenistan, Iran, Eritrea e Corea del Nord, fanalino di coda della classifica al 180° posto.

A passarsela bene sono soltanto i paesi nordici, ossia Norvegia, Danimarca e Svezia, che restano stabili nelle loro prime posizioni e continuano a incarnare un modello democratico dove la libertà di espressione fiorisce. All’ultimo posto in Europa troviamo invece la Grecia (108), che sostituisce quest’anno la Bulgaria, al 91esimo posto. In Francia (26esimo posto), come in tutti i Paesi democratici, l’Ong nota un “rinnovamento delle tensioni sociali e politiche, accelerato dalle reti sociali e dai nuovi media d’opinione”.

 

La necessità di tutelare il giornalismo di qualità

Nel presentare l’edizione di quest’anno dell’Index, il segretario generale di RSF Christophe Deloire ha evidenziato come nei paesi autoritari il diritto all’informazione dei cittadini venga eliminato con la creazione di armi mediatiche. E come il collegamento tra questo trend e l’aumento della tensione internazionale, possa portare al peggior tipo di guerre. Concordo pienamente nel ritenere assolutamente necessario assumere decisioni urgenti in risposta a questi problemi. È più che mai stringente l’urgenza di promuovere un New Deal per il giornalismo, come è stato proposto dal Forum sull’informazione e la democrazia. È fondamentale delineare e adottare nel futuro prossimo un quadro giuridico adeguato, a garanzia di un sistema che sappia proteggere gli spazi di informazione democratici online.

L’avvento di Internet avrebbe dovuto, negli auspici di una ventina di anni fa, portare in dote un inedito pluralismo dell’informazione, che è il sale (e anche il pepe) di ogni democrazia. Ha invece avuto come effetto macroscopico l’indebolimento della potenza di fuoco delle testate più autorevoli e generato una giungla piena di pericoli, menzogne, mezze verità, secondi fini. Se al sistema serve una profonda ristrutturazione, e alle grandi testate anche un sano confronto intriso di autocritica, come singoli individui abbiamo un compito: premiare le piattaforme che riportano notizie veritiere e frutto di un serio lavoro giornalistico, anziché supportare i fautori del click bait a ogni costo.