Fare del bene e fare profitto non sono più due universi distinti. Anzi! Armonizzare e intrecciare questi due ambiti è precisamente la sfida che ogni azienda deve oggi saper raccogliere per essere pronta al futuro. Questo il cuore del mio intervento, unico speaker italiano sui trenta presenti alla terza edizione del World Marketing Summit di Tokyo, invitato direttamente dal padre del marketing Philip Kotler.
Dal Giappone torno con sensazioni vivide, di conferma e rilancio di un tema con cui mi confronto da tempo. Il gotha del settore ha affrontato l’argomento con ricchezza di contenuti e punti di vista nei due giorni di convegno al Pamir Hotel di Takanawa, dove erano rappresentate 1500 tra le più importanti aziende giapponesi e asiatiche. Il coniugare profitto e effetti positivi sulla società è compiutamente riconosciuto oggi non soltanto come una scelta auspicabile, ma anche come un forte vantaggio competitivo.
Siamo dunque al principio di una fase nuova, tipica della nostra era, che Kotler definisce 3.0 e che Paoletti sintetizza con la definizione di ‘Diagonal Marketing’. L’Era della Partecipazione ha appunto giocato il ruolo di presupposto chiave dell’evento di Tokyo, che nella frase “through marketing for a better world” sottolineava l’ennesimo riposizionamento di questa scienza moderna nella gerarchia delle funzioni aziendali, riformulandone così la sua missione.
Una riformulazione che prende le mosse da un contesto preciso. Il mercato oramai maturo determina per molte aziende una crescita molto bassa: il prodotto sembra sempre più una comodità e il bene più raro e prezioso diventa dunque la creatività, le idee. La necessità di un cambiamento radicale si traduce nell’obbligo per le aziende di contribuire a creare qualcosa che duri più a lungo nel tempo e abbia un impatto più intenso sulla vita delle persone.
Si tratta di una nuova impellente sfida: creare attorno al cliente, per il cliente, grazie alla sua co-partecipazione al progetto aziendale, un Eco-sistema che sintetizzi tre necessità in una: quella dell’azienda di realizzare profitto, del cliente di essere soddisfatto e felice e la necessità sociale di trarre vantaggio da questa transazione, cosa che fino a pochi anni fa veniva snobbata ma che oggi viene fortemente richiesta dal mercato. Non per niente, le aziende che non lo fanno vengono messe in discussione sui social network.E anzi quelle che ingannano i clienti, prima o poi verranno smascherate e sono destinate a crollare.
La consapevolezza di fondo è che le imprese devono oggi guardare all’essere umano nel senso pieno del termine, alle sue esigenze materiali e spirituali e il concetto chiave su cui poggia l’azione di marketing diventano i valori: il cliente non vuole limitarsi a comprare qualcosa da te, ma vuole fare esperienza di te. Se il potere torna nelle mani dei clienti, la competizione sarà più dura, finalmente molto più vera, perché fondata sulla capacità di corrispondere a dei valori piuttosto che di costruire dei prodotti o vendere dei servizi.
Sono i tratti della mia idea di Economia 0.0: non un mondo che rallenti ma che per passare alla fase 4.0 faccia prima un passaggio “dentro”, in profondità, cercando delle soluzioni a tutto ciò che abbiamo fatto di non- o mal-funzionante, ad un livello di coscienza più profondo di quello che ha prodotto il problema perché, come diceva Gandhi, “la velocità non fa la differenza se si va nella direzione sbagliata”.
Ecco perché a Tokyo ho concluso il mio intervento lanciando una provocazione: “La vera rivoluzione non è quella digitale. Il digitale è solo un nuovo ambiente come ne abbiamo sempre avuti lungo la storia della nostra specie. La rivoluzione non è quella tecnologica, poiché la tecnologia l’abbiamo sempre inventata (o meglio, scoperta!) lungo la storia della nostra specie, pensate al fuoco o alla ruota. La vera rivoluzione sarà l’evoluzione delle coscienze”.
Sceso dal palco, mi sono confrontato con uno degli speaker del Wms, il professore di business Dipak C. Jain della Chulalongkorn University. La sua è una prospettiva quantomai attuale e affascinante: siamo passati dall’era del capitalismo a quella dell’imprenditorialismo, animata da capi d’azienda sì innovatori sul terreno dei prodotti o dei servizi, ma prima di tutto guidati dall’obiettivo di migliorarsi come esseri umani, come persone.