In un bell’articolo su Avvenire, Pietro Saccò ricostruisce la storia del movimento dell’Altruismo Efficace sulla scorta della sua più colossale e rovinosa battuta d’arresto, la recente bancarotta della piattaforma di criptovalute Ftx, creatura di uno degli esponenti fin qui chiave del movimento, Sam Bankman-Fried. Uno dei pezzi da novanta tra i finanziatori dell’Altruismo Efficace è ora accusato di aver truffato decine di migliaia di piccoli risparmiatori di Bitcoin e altre criptovalute, mandando in fumo 8 miliardi di dollari.
Il modello (imperfetto) dell’Altruismo Efficace
La vicenda è estremamente complessa, e vi rimando al citato articolo di Avvenire per l’intera ricostruzione. Ciò che ci interessa su queste pagine è però il modello di altruismo che questa vicenda scoperchia in tutta la sua debolezza intrinseca. Volumi del bene prodotto e fondi necessari sono la chiave di volta di questa interpretazione di filantropia centrata sui grandi numeri. Scaricata ora dal suo padre nobile, il filosofo australiano Peter Singer, l’uomo del principio morale che individua come una necessità fare il massimo bene possibile nel mondo, questa filosofia negli ultimi quindici anni e più è cresciuta a dismisura, divenendo un movimento sociale e filosofico capace di coinvolgere e smuovere migliaia di persone e decine di miliardi di dollari, 22,5 dei quali arrivati da Dustin Moskovitz, cofondatore di Facebook, e non molti di meno proprio dall’ora famigerato Bankman-Fried. Tra il 2015 e il 2021 la crescita di fondi convogliati è stata notevolissima, portando a una cifra complessiva di 46 miliardi di dollari convogliati in questo approccio.
Ciò che affascina dell’Altruismo Efficace è la sua traiettoria ideale: partire da convinzioni di natura morale e filosofica per calarle in una dimensione evidentemente pragmatica e su larga scala. La capacità di diventare movimento, convogliare denaro e misurare l’impatto. Già: il bene è considerato come un qualcosa di misurabile con metodi scientifici. E infatti nel sistema dell’Effective Altruism gravitano tra le molte due realtà no profit, GiveWell sulla salute umana e Animal Charity Evaluators su quella animale, che valutano le organizzazioni benefiche sugli effettivi risultati raggiunti per dollaro speso.
Negli anni questo approccio, che scintillava per apparente solidità e lucidità di visione, in tutta evidenza ha camminato su un filo sottilissimo, che la bancarotta di Bankman-Fried ha spezzato, dimostrando che numeri e movimentazioni colossali di denaro non sono necessariamente la garanzia di successo né la soluzione, ma possono invece essere un problema ulteriore. Questa vicenda ha reso evidente al mondo la miopia e le insicurezze di un approccio che sembrava saldamente vincolato a obiettivi concreti e proliferazioni “efficaci” di una visione del mondo. Eppure il lungoterminismo, ossia l’idea che gli individui non ancora nati abbiano la medesima importanza di quelli già al mondo, oltre che una presa di posizione affascinante, ha probabilmente bisogno di volumi enormi per non rimanere lettera morta. Fino a quando non salta il banco, ovviamente.
E’ una visione delle cose curiosamente contraddittoria: focalizzata sul fare del bene, ma al contempo limitata a volare (troppo?) in alto e a movimentare enormi quantità di denaro per focalizzarsi anche su futuri non certo prossimi. Non stupisce che questo approccio sia stato di gradimento di Elon Musk, personaggio che addirittura guarda a un altro pianeta, Marte, per quando le risorse sulla Terra scarseggeranno.
L’Altruismo che conosciamo meglio
Massimi sistemi di difficile comprensione per molti di noi, che dell’Altruismo facciamo normalmente un’esperienza differente, diciamo contingente: il lavoro qui e oggi delle no profit, delle organizzazioni ecclesiastiche e del terzo settore. Questo periodo di crisi costanti e a raffica, iniziato ovviamente con la pandemia, ci ha ricordato una volta di più che senza un terzo settore vitale e di qualità, siamo più deboli come società. Ma anche questo tipo di altruismo ha i suoi limiti, che sono dopotutto i limiti umani, per così dire.
Su questo mi ha colpito un passaggio che ho letto sul sito della Fondazione Veronesi: “Anche le organizzazioni non profit si distinguono, come del resto le imprese business e gli enti pubblici, in organizzazioni di maggiore e minore qualità, ed esse non possono essere trattate tutte allo stesso modo, poiché diverso è il contributo che forniscono al benessere dell’uomo e della società. Ci sono infatti organizzazioni che assorbono risorse e altre che le ‘moltiplicano’, alcune che aiutano meno e altre che invece producono benessere rilevante e continuo per molti. La nostra società ha bisogno di riconoscere, premiare e sostenere di più le organizzazioni del terzo settore di alta qualità. Da questi investimenti sempre più selettivi e virtuosi, poiché meno generici o “a calderone”, dipenderà anche la qualità della nostra vita personale e sociale futura.”
Un altro focus, un’altra visione, centrata non necessariamente sui volumi, ma sul concetto di qualità dell’azione, dell’intervento, della relazione. Certamente opinabile, ma centrale nella valutazione di ciò che viene fatto. “La nostra economia e la nostra società hanno sempre più bisogno di imprese di qualità, pubbliche amministrazioni di qualità ma anche di organizzazioni del terzo settore di qualità. Da troppo tempo infatti “contiamo la quantità” ma riconosciamo ancora troppo poco la qualità, anche nelle statistiche ufficiali e/o nei provvedimenti normativi e di sostegno fiscale e finanziario. Da sempre l’economia evidenzia soggetti molto diversi tra loro per identità, comportamenti e soprattutto impatti generati, soggetti con diversi “pesi specifici” dal punto di vista qualitativo. Il presente e il futuro della nostra società e della qualità della nostra vita dipendono oggi molto più dalla qualità che dalla quantità dei presidi e delle organizzazioni. Quello che conta non è avere tante cose o tante organizzazioni, ma avere delle buone organizzazioni. Lo abbiamo visto molto bene durante il covid dove abbiamo avuto tanti sussidi, ma le persone non potevano curarsi o erano chiuse in casa in una profonda solitudine. Le imprese fornivano beni, le pubbliche amministrazioni soldi, ma poche fornivano cura e relazioni.”
Altruismo e economia: il boom delle B-Corp
Poche cose al mondo sono complesse come l’altruismo, questo l’abbiamo capito da tempo. Ma ciò che intriga è che è un concetto oggetto di profonde riflessioni, iniziative, mutazioni. Non è scolpito nella pietra, ma nucleo vitale che ispira, pur diversamente, tanti esseri umani. In economia, da metà degli anni zero ne abbiamo visto una declinazione storica e in costante evoluzione: le B-Corp. Le imprese certificate in Italia dalla no profit B Lab hanno raggiunto la soglia anche psicologica di 200 imprese, con una crescita accentuata negli ultimi due anni, per una community che ora conta nel nostro Paese 15 mila lavoratori e si attesta su circa 9,5 miliardi di fatturato.
Le B Corp certificate sono aziende che soddisfano gli alti standard di performance sociale e ambientale, responsabilità e trasparenza verificati dalla non profit B Lab. Tutte insieme – nel mondo sono ormai 6 mila, in 86 Paesi e 160 settori diversi – formano un movimento globale di aziende che crede nel business come forza positiva per le persone e il pianeta e che lavora per realizzare un paradigma economico più inclusivo, equo, rigenerativo. Sono dunque la dimostrazione di un (altro) punto di incontro possibile: tra profitto e altruismo, tornaconto privato e collettivo.