“Quando vedo che i fan cantano le mie canzoni, io sono soddisfatto. Quando vedo che i fan mi vogliono bene, io sono felice”, ha detto Fabrizio Moro a un certo punto del nostro discorso, durante il recentissimo incontro al Tempo dei Nuovi Eroi in onda ieri su Radio Italia.
E dicendolo ha sottolineato in maniera precisa e cristallina, la materia di cui è fatto il “ritorno” che il suo pubblico, cioè la sua sfera di relazione, gli restituisce: un sentimento di soddisfazione è quel che arriva all’anima dell’artista, uno di felicità a quella dell’uomo.
Ed è ben differente! Perché anche se li usiamo frettolosamente come sinonimi, in realtà “soddisfatto” e “felice” non lo sono affatto.
Il primo è un concetto che la sua ascendenza latina, satis “sufficiente, abbastanza” e fàcere “fare”, ci spiega in maniera precisa: il soddisfare è il “rendere sufficiente” qualcosa rispetto a un’aspettativa, un bisogno. Dunque, è soddisfatto colui che semplicemente e in maniera esatta si trova davanti ciò che basta.
Il secondo invece indica uno dei gradi più alti di benessere e di soddisfazione. È felice, dal latino felix –īcis che ha la stessa radice di fecundus, cioè”fertile”, colui che si sente pienamente soddisfatto nei propri desideri ed è appagato, contento, lieto. Quasi beato.
L’artista Moro trova la sua misura nella risposta del pubblico: un pubblico che conosce ogni singola nota di ogni tua canzone è una misura essenzialmente giusta in restituzione allo sforzo del tuo lavoro. Ma l’uomo chiede di più, chiede di aggiungere altro valore, emozionale, spirituale, essenziale, a questo flusso magnifico e benefico che si crea tra il suo palco e la sua platea e tra ciascuno degli individui che intorno a lui condividono un sogno.
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