L'incontro organizzato a Fiume Veneto da PordenonePensa è stato un'occasione per confrontarmi con un pubblico attento e sensibile sul grande tema della sostenibilità nelle organizzazioni.
L’attacco alla statua di Indro Montanelli, che più o meno 14 anni fa è stata posta nei giardini della zona milanese di Palestro anche essi a lui dedicati, non solo ha riportato il dibattito pubblico su alcuni passaggi della vita del giornalista italiano da lui stesso raccontati, che lo hanno visto protagonista di violenza sessuale ai danni di una 12enne eritrea durante l’invasione italiana dell’Etiopia, ma si è inserito nel più ampio contesto delle proteste contro il razzismo che stanno divampando in tutto il mondo e che hanno coinvolto anche le statue di Winston Churchill a Westminster, Londra, e di Cristoforo Colombo a Houston, in Texas e di Edward Colston, mercante-filantropo di Bristol che si è tuttavia arricchito anche con il commercio degli schiavi.
Ma anche se ha assunto proporzioni globali, questo fenomeno è “solo” una nuova ondata di quei movimenti iconoclastici che a partire dei secoli ottavo e nono della nostra storia, ciclicamente esprimiamo per opporci alle convenzioni, alle ideologie e ai principi comunemente accettati dalla società vigente?
Non voglio minimizzare il fenomeno che, ripeto, ha caratura mondiale, e non voglio condividere il pensiero di chi ritiene totalmente e per sempre assolte le persone che nel loro tempo hanno incarnato visioni e idee oggi ritenute a ragione lesive dei diritti primari degli individui. Penso però che rifarsi sulle loro icone sia del tutto inutile se non deleterio. Se non altro perché alla semplice cancellazione dell’icona non corrisponde l’altrettanto semplice cancellazione dell’azione che oggi ce la rende odiosa.
Magari bastasse abbattere statue e vestigia per risolvere radicalmente usi e costumi intrisi di violenze e vessazioni spesso anche di natura sessuale che quotidianamente esprimiamo e lasciamo esprimere in totale violazione dei diritti più elementari. Invece, la realtà dei fatti dice che con o senza statue, in alcune regioni del mondo è ancora possibile e legale combinare matrimoni tra maschi adulti e bambine anche minori di 10 anni. Che è ancora possibile, e gli italiani ne sono tra i principali fautori, dedicarsi al turismo sessuale che nei paesi più poveri è un importante asset. Che è ancora possibile inventare e perpetrare su uomini e donne, nuove e sempre più sofisticate forme di schiavitù dove quella economica non è meno vile o opprimente rispetto a quella sessuale che tuttavia ancora impera anche nelle nostre strade di città.
Abbattendo le statue, demolendo le icone della nostra storia, purtroppo non risolviamo i problemi, solo allontaniamo da noi il fastidio di dovervi fare i conti. E, peggio, allontaniamo volontariamente da noi la responsabilità di dovercene fare carico.
Certo per ogni individuo è faticoso cambiare prospettiva e mettersi in viaggio verso nuovi modelli di pensiero e di società, soprattutto in un’epoca come la nostra in cui ci siamo bellamente acquartierati nella percezione della realtà a nostro uso e consumo perché più comoda della realtà tout court, che è troppo veloce e complessa per le nostre fragili tempre. Ma il momento è epocale, se non unico e ultimo, e necessita di un cambiamento.
Come diceva proprio quel Winston Churchill recentemente contestato «per migliorare bisogna cambiare, quindi per essere perfetti occorre cambiare spesso». Anche se non vedo intorno a me la volontà di cambiare ma una sempre più ricorrente tendenza a lamentarsi o a distruggere senza che però vi sia una altrettanto ricorrente attività nella proposizione di risoluzioni, ritengo che dobbiamo tornare al punto 0. Cioè al punto dal quale individuare un modo nuovo di pensare, di agire e di relazionarci con il Tutto. Che sia un modo etico, sostenibile e innovativo. In una parola sola: innovability.