Se avete qualche minuto di tempo guardate questo video di qualche anno fa, che ho scoperto di recente e mi ha letteralmente stregato: si tratta dell’intervento che Emilie Wapnick ha tenuto a una delle conferenze TED, che in America e nel mondo diffondono il meglio delle idee per quanto riguarda la tecnologia, l’educazione e il design. Chi è Emilie Wapnick? Difficile dirlo, ed è proprio questo il bello: lei è un’autrice, una life coach ma nella vita è stata (ed è tuttora) anche artista, filosofa e community leader. Dalla sua carriera estremamente versatile ha tratto un concetto che ora vuole far diventare mainstream: quello del multipotentialite (termine inglese da lei stessa coniato inglese in riferimento alle “potenzialità molteplici”).
L’idea di Wapnick parte dal fatto che la domanda “Che cosa vuoi fare da grande?” non è solo antiquata o inopportuna, è anche altamente dannosa. Quanti di noi da ragazzini si sono sentiti spaesati di fronte a questo quesito esistenziale e quanti si sono sentiti stupidi o limitati nel non riuscire a dare una risposta univoca? Invece i multipotentialite sono proprio quelli che non riescono e non riusciranno mai a dare una risposta unica a quella domanda tanto fatidica, perché magari hanno interessi troppo profondi o diversi o perché hanno talmente tante idee da non poterle incasellare in un’unica attività lavorativa. Wapnick si chiede, ad esempio, cosa sarebbe accaduto al nostro progresso culturale se molti personaggi del Rinascimento, come Leonardo o Leon Battista Alberti, avessero scelto una sola professione nella loro vita.
Il fatto è che “Che cosa vuoi fare da grande?” è una domanda che ci racconta di un mondo ormai superato: oggi come oggi siamo destinati a non fare un solo lavoro nella vita, anzi se siamo fortunati ci troveremo di fronte a sfide occupazionali molto numerose e diverse fra loro. Attenzione: non stiamo parlando qui della precarietà più assoluta, ma della predisposizione intellettuale e della versatilità attitudinale di riuscire a passare da un lavoro a un altro, in modo da affrontare sfide sempre diverse. Professori che diventano attori, bancari che diventano scrittori, commessi che diventano startupper, fioristi che diventano organizzatori di eventi e così via.
L’epoca in cui una persona iniziava a fare un lavoro appena dopo la scuola e continuava a fare quello fino all’età della pensione è ampiamente finita. Non solo il mercato del lavoro – nel bene o nel male – non ci permette più questo lusso, ma il modo in cui la nostra società si sta evolvendo ci incita ad accettare sempre nuove sfide, a valicare la nostra comfort zone e sperimentare attività che mai avevamo pensato di poter affrontare, in cui mai avremmo sognato di poter eccellere: negli Stati Uniti oggi come oggi il tempo medio passato in un singolo impiego è di 4,2 anni. Eppure non incasellarsi in un’unica definizione (“Faccio il segretario”, “Sono un cuoco” ecc.) aiuta anche a vivere il mondo del lavoro non come un obbligo che assorbe la totalità della nostra vita, ma come uno stimolo a cambiare sempre. Ovviamente se lo vogliamo.
Ma volenti o nolenti il cambiamento è un fattore fondamentale delle occupazioni di oggi: non contano più solo le skill, cioè le abilità e le competenze che abbiamo acquisito per svolgere una determinata mansione, ma le re-skill, la capacità cioè che dimostriamo di riuscire a rimodulare i nostri punti di forza e riadattarli a nuove opportunità di lavoro. In un articolo sul sito del World Economic Forum di qualche tempo fa si sostiene proprio questo: entro il 2020 il 35% delle competenze necessarie ai lavoratori del mondo sarà già cambiato. Può sembrare una corsa estenuante a rinnovarsi, ma anche una sfida estremamente avvincente.
Io stesso non avrei mai saputo dare un’unica risposta alla domanda “Che cosa vuoi fare da grande?”: l’esperto di marketing, l’imprenditore, lo scrittore, l’agitatore culturale… Non so rispondere neanche ora: tutte queste cose, probabilmente. Ed è questo sfuggire a ogni tipo di definizione ma al contempo aver ben chiaro cosa si vuole fare nella vita e quali siano i nostri interessi e le nostre passioni che mi sembra l’aspetto più avvincente della nostra contemporaneità. Se creeremo un nuovo Rinascimento, sarà solo grazie alla nostra capacità di rinnovarci.