Immaginate un concorso con tre parole finaliste: goblin mode, metaverse, I stand with. Ossia: la liberazione dai canoni di perfezione, lo spazio digitale dove (così ci raccontano) tutto accadrà, una presa di posizione individuale forte su temi sociali. Chi vince? A mani basse, anzi artigli, ha trionfato la modalità goblin. E non si tratta di una votazione su una chat di Whatsapp, bensì di una rigorosa consultazione che coinvolge quasi 350 mila persone di lingua inglese, sotto l’egida della casa editrice della prestigiosa Università di Oxford.
Apologia della sciatteria o voglia di autenticità?
Goblin mode è dunque stata eletta parola dell’anno 2022, con un plebiscitario 93% delle preferenze. La definizione recita: “stile o comportamento volutamente sciatto, trasandato e autoindulgente”. Apologia della sciatteria, o ricerca di autenticità? Che lezione dobbiamo trarne? A mio avviso, quella che più ci aggrada. Dipende insomma da quanto pesano alcune evidenze del contemporaneo sulla propria visione del mondo. Lato 1: la gente in pandemia si è assuefatta alle riunioni su Zoom, in mutande, ciabatte e camicia, e non si è più ripresa dalla smania di comodità. Scena e retroscena, direbbe Goffman, con una chiara preferenza per la seconda sulla prima. Lato 2: massacrati quotidianamente dai tamburi battenti dei social network, traboccanti di perfezione artefatta, sentiamo un pressante bisogno di dimensioni autentiche. Ecco, io propendo per questa seconda interpretazione.
Lungi da me celebrare il lasciarsi andare di schianto nella cura di sé, chi mi conosce sa che non è affatto il mio stile. E sicuramente tra gli oltre 300 mila votanti per la parola dell’anno, qualche “goblin” vero e proprio ci sarà pure, persone sciatte per davvero che hanno subodorato un’occasione di approvazione collettiva per atteggiamenti poco edificanti. Ma io credo che il punto stia altrove.
Chi più chi meno, tutti noi abbiamo un mostriciattolo dentro che fatichiamo e non poco, nei tanti ruoli che ricopriamo, a nascondere, ricacciare dietro le quinte. La pandemia ci ha chiuso in casa anche con lui, il goblin. Forse, durante questa convivenza forzata, l’abbiamo guardato con più attenzione, meno pregiudizi. E magari abbiamo scoperto che non è poi del tutto orrorifico, questo ricettacolo di atteggiamenti liberatori che siamo stati addestrati a nascondere ai più, sotto la minaccia della disapprovazione sociale.
Un avatar indulgente VS aspettative irrealistiche
Il goblin non è altro che l’ennesimo avatar della nostra esistenza, solo un po’ più indulgente degli altri. Dall’avvento del digitale abbiamo costruito la nostra versione pubblica digitale, giorno dopo giorno, esattamente come facciamo da sempre nella nostra vita offline. Una versione di noi totalmente senza filtri è ovviamente una versione non tollerabile, da celare, come un goblin in soffitta. A mio modo di vedere, goblin mode è la parola dell’anno perché siamo terribilmente stanchi di confrontarci con aspettative irrealistiche.
Ricordate le rivelazioni della “gola profonda” di Facebook, le ricerche (volutamente ignorate dal colosso dei social) sugli effetti devastanti dell’uso intensivo di Instagram sui giovani e giovanissimi? Quanto più i ragazzi vi passano del tempo, quanto più crescono sentimenti di ansia, frustrazione, senso di inadeguatezza. Il richiamo all’omologazione a canoni imposti è fortissimo, e da tempo si è spostato dalle riviste femminili al costrutto multiforme delle piattaforme social, dove tutti sono splendidi e vivono vite perfette, o sono eccezionalmente bravi in qualcosa e in quanto tali diventano modelli da venerare e imitare. C’è un’alternativa: accettare noi stessi per come siamo, provando sì a migliorare i lati da goblin dei nostri caratteri, ma senza fustigarsi per il semplice fatto che esistono e sono parte di noi. Ogni tanto è salutare far vedere la luce del sole anche al nostro artigliato passeggero.
Uscire da una dimensione autoriferita
Propongo insomma di diffidare di chi legge nella popolarità di questa espressione una semplice esaltazione del fregarsene di tutto e tutti. Tuttavia, se guardiamo il podio un fatto secondo me decisivo balza all’occhio. Delle tre parole finaliste, goblin mode è l’unica apertamente legata a una dimensione spiccatamente individuale, autoriferita. Il metaverso, con tutti i distinguo e le cautele del caso, evoca comunque un contesto relazionale, e l’espressione I stand with, mi schiero con, esprime l’apertura all’altro, l’empatia per una condizione altrui.
Ben venga una sana autoindulgenza, ovviamente nelle giuste dosi. Ma ciò che dovremo davvero recuperare come individui è proprio la capacità, e soprattutto la voglia, di uscire dai nostri steccati. Poco importa se costruiti ad arte per ben figurare sui social, o zone franche nei quali smollare un po’ e scaricare la tensione. La mia speranza è che tra dodici mesi la parola dell’anno 2023 parli anche di altro da noi.