L'incontro organizzato a Fiume Veneto da PordenonePensa è stato un'occasione per confrontarmi con un pubblico attento e sensibile sul grande tema della sostenibilità nelle organizzazioni.
Nei giorni scorsi mi ha molto colpito un articolo pubblicato dal Wall Street Journal. Mi ha molto colpito perché dipinge con una chiarezza adamantina l’inversione di marcia di un business e contemporaneamente un totale cambiamento di prospettiva.
“Per gran parte della storia dell’umanità – scrive il quotidiano statunitense – il modo migliore per fare soldi con gli alberi è stato abbatterli, oggi, con le aziende che si affannano a compensare le loro emissioni di anidride carbonica, si possono fare soldi lasciandoli dove sono.”
In sostanza quello che sta iniziando ad accadere oltreoceano è che i proprietari di foreste stanno firmando accordi economici che non prevedono la vendita dei propri alberi e quindi il loro conseguente abbattimento come fonte di materia prima, bensì ne prevedono la tutela e la conservazione.
Fino ad ora, dichiara il giornale, negli Stati Uniti i proprietari terrieri hanno ricevuto più di un miliardo di dollari per non abbattere i propri alberi.
Naturalmente la conservazione delle foreste è di per sé una buona notizia visto che un simile trend avrà certamente il merito non scontato di fare aumentare il numero delle foreste che rimangono integre. Tuttavia, mi vorrei soffermare sulle ragioni che hanno prodotto questa buona notizia.
Le aziende, soprattutto quelle energetiche, pagando perché gli alberi non vengano abbattuti, possono poi dichiarare di avere ridotto una certa quantità di anidride carbonica. Poter raccontare di avere ridotto le proprie emissioni in linea con i propri obiettivi è certamente un’ottima carta in fatto di immagine pubblica, di reputazione e di tranquillità per gli investitori che da qualche tempo hanno dimostrato di avere molto a cuore il tema del climate change e dunque hanno preso a privilegiare quei fondi che si dimostrano impegnati nel contrastarlo.
Certamente è un buon inizio, da un lato abbiamo degli investitori che valorizzano quelle aziende che si impegnano nel contrasto al cambiamento climatico e che sono sensibili ai temi ambientali e di sostenibilità, e dall’altro registriamo una nuova attitudine dei proprietari di foreste nel creare e vendere crediti di anidride carbonica.
Ma è davvero questo uno dei tanti segnali di un cambiamento reale? È davvero questo, nel suo ambito, quello che io definisco uno 0.0? Cioè è davvero il punto dal quale individuare un modo nuovo di pensare, di agire e di relazionarci con il Tutto? Siamo davvero in quella dimensione che definisco “innovability”?