L'incontro organizzato a Fiume Veneto da PordenonePensa è stato un'occasione per confrontarmi con un pubblico attento e sensibile sul grande tema della sostenibilità nelle organizzazioni.
Chi come me segue i principali talk tv, ha certamente potuto apprendere dalla fonte di un bancario al quale è stato garantito l’anonimato, che il famigerato bonus di 600 euro deliberato dalle misure governative per supportare i titolari di partite iva in questo difficile periodo di improduttività, è stato accreditato anche su conti correnti il cui saldo si attestava su molte centina di migliaia di euro. Questo è accaduto perché i titolari di questi conti correnti evidentemente hanno fatto richiesta dei 600 euro di bonus.
Ovviamente non è mia intenzione polemizzare o emettere giudizi morali su questi fatti poiché l’erogazione del bonus rientrava tra le misure urgente e straordinarie, la modalità di richiesta non prevedeva filtri né limitazioni d’accesso (limitazioni e filtri sono stati introdotti per i mesi successivi) di conseguenza ogni richiesta, in assenza di limitazioni, si è configurata come lecita. La mia intenzione è sottolineare e approfondire le differenze tra ciò che è lecito, ciò che è giusto e ciò che è agito per-il-Bene di tutti. Poiché per quanto sottile possa essere questa linea di confine va tracciata e compresa bene se si vuole fare quel salto evolutivo di pensiero necessario in questo crocevia in cui si trova l’umanità.
Dunque, la domanda non è solo se, a fronte della possibilità di ricevere del denaro a fondo perduto resa disponibile dallo Stato per fronteggiare le ristrettezze economiche delle molte persone in difficoltà, sia lecito ottenerlo anche da chi le ristrettezze economiche non le ha, poiché giuridicamente lo è. La domanda non è neanche solo se ciò sia giusto poiché giuridicamente lo è, anche se non in senso assoluto bensì relativo al momento contingente. La domanda è: quanti di noi hanno richiesto questo bonus pur non avendone bisogno effettivo, hanno agito per-il-Bene di tutti.
Tengo a ribadire che questa mia sollecitazione non contiene un giudizio di merito né una inutile valutazione moralistica dei fatti, che per essere tali sono appunto passati, quanto una provocazione buona a orientare il nostro dibattito filosofico futuro: vogliamo restare individui che agiscono al riparo delle logiche del contesto (non ne ho bisogno ma potendo ottenere il bonus, lo prendo magari togliendolo ad altri) oppure vogliamo imparare a decidere basandoci sull’interesse collettivo oltre che su quello individuale?
È una sfida importante questa, pare chiaro che ne va del futuro della nostra specie, ma mi pare altrettanto chiaro che non si tratti di una sfida fuori dalla nostra portata. Molti autorevoli pensatori e studiosi, tra questi il professor Yuval Noah Harari, infatti ritengono che il momento epocale che stiamo attraversando possa essere annoverato tra quegli snodi eccezionali che favoriscono il salto in avanti del progresso umano. Questo avviene per la semplice ragione che per rispondere ad eventi imprevisti si pensano e si adottano molto rapidamente misure e strumenti che in tempi normali avrebbero richiesto un lungo iter valutativo e approvativo.
Pensate alla velocità con cui abbiamo adottato una misura quale il distanziamento, impensabile per come è strutturato il nostro modello di aggregazione sociale. Pensate al lockdown. Chi avrebbe mai immaginato di poter convincere miliardi di persone nel mondo a restare a casa, a fermare qualsiasi attività lavorativa, professionale, imprenditoriale, a rinunciare alle interazioni familiari, affettive, amicali, di culto. Pensate a quanto velocemente lo smartworking, una modalità lavorativa lungamente discussa, valutata, proposta, ma su cui si continuavano a nutrire mille e un dubbio, è stato adottato dalle aziende che nello spazio di pochi giorni hanno rivoluzionato il proprio modo di organizzare il lavoro ribaltando una cultura aziendale ancora legata alla tradizione.
Dunque, il cambiamento individuale in questi mesi di emergenza sanitaria è andato di pari passo con il cambiamento sociale supportandosi e alimentandosi reciprocamente, e dando così prova di fattibilità. Una fattibilità certamente inimmaginabile prima d’ora, di cui ovviamente andare fieri, ma che potrebbe restare limitata alla sola sfera utilitaristica se non cogliamo la stessa occasione per cambiare anche il nostro metro di giudizio. Se non adottiamo insieme ai nuovi modelli comportamentali anche nuovi modelli di pensiero.
Dobbiamo allora educare noi stessi ad agire con cuore sociale, anima ecologica e mente imprenditoriale. Cioè tirare fuori da noi stessi quello spirito da innovatore consapevole che sappia orientare alla Gratitudine e contemporaneamente generarla.