L'incontro organizzato a Fiume Veneto da PordenonePensa è stato un'occasione per confrontarmi con un pubblico attento e sensibile sul grande tema della sostenibilità nelle organizzazioni.
Il mercato dell’istruzione a livello globale vale 5 mila miliardi di dollari e si stima che dovrebbe raddoppiare entro il 2030. Questo perché, da un lato fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti, è il quarto dei diciassette obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile dell’Onu, oltre che il fattore trainante per il raggiungimento di altri obiettivi quali la lotta alla povertà, la riduzione delle diseguaglianze, il miglioramento delle condizioni di vita, di salute e benessere, la diffusione della tolleranza, dell’inclusività e della pace tra le società. Dall’altro perché è trainato dai cambiamenti demografici e sociali e dalla rivoluzione tecnologica. Infatti, la popolazione studentesca è in costante aumento e aspira a un’istruzione superiore soprattutto nei paesi emergenti.
In Cina, Brasile o in India, la spesa per l’istruzione è una delle voci principali del bilancio delle famiglie e i governi si stanno impegnando a privatizzare il settore. Come ha rilevato l’Ocse, un’istruzione di qualità è in grado non solo di aumentare la produttività ma anche di dare ritorni pubblici e privati più importanti. Tant’è che a livelli più alti di formazione corrispondono tendenzialmente redditi più alti e di conseguenza livelli contributivi al sistema sociale più consistenti con un ovvio ritorno positivo sui conti pubblici.
Con questi volumi e queste potenzialità, il mercato dell’istruzione ha iniziato a destare negli investitori un’attenzione particolare e di conseguenza ha dato la spinta propulsiva a molti asset manager che hanno preso ad affollare l’offerta di prodotti che investono proprio su di essa.
Tuttavia, mentre le altre nazioni sull'accrescimento del livello di istruzione dei singoli cittadini ci puntano, il nostro Paese resta indietro. Nei prossimi 10 anni registreremo un milione di studenti in meno.
Secondo l’Ocse in Italia abbiamo le rette tra le più alte e il numero dei laureati nella fascia d’età 19-64 anni non supera il 19%, mentre la media si attesta su un lontano 37%. Non solo, l’università non riesce sempre a garantire un’occupazione e, anche quando lo fa, non garantisce uno stipendio più alto. Siamo anche tra i paesi con il numero più alto di Neet, cioè ragazzi che non studiano, non lavorano e non fanno percorsi di formazione.
Mutuando il Talmud, Jung diceva che noi non vediamo le cose come sono ma vediamo le cose come siamo. E come possiamo essere se non studiamo, non lavoriamo e non seguiamo percorsi formativi di alcun genere?
La creatività e la capacità di astrarre sono le caratteristiche che rendono l’uomo diverso dalle altre specie che abitano questo pianeta, nonché unico per la sua capacità di plasmare il mondo in cui viviamo. Ciò può avvenire migliorandolo o peggiorandolo, oppure perfino distruggendolo. Quale di queste direzioni penderemo se non studiamo, non lavoriamo e non seguiamo precorsi formativi di alcun genere?
La storia ci dice che la nostra risorsa principale siamo noi, gli esseri umani. Noi siamo stati capaci nel corso dei millenni di usare la nostra creatività per realizzare il nostro progresso, aumentando e diversificando le risorse, migliorando le nostre condizioni di vita, anche nei paesi più poveri, dove oggi per esempio non si verificano più le grandi carestie che ancora pochi decenni orsono annientavano intere popolazioni. A parte quelle determinate da precise scelte politiche, ma questo merita un approfondimento a parte.
Questo miglioramento è stato possibile grazie allo sviluppo. Probabilmente nel nostro Paese si è persa la consapevolezza di quanto l’istruzione incida e determini lo sviluppo. E parlo di tutta l’istruzione, anche quella classica e umanistica che è l’artefice dell’allargamento dei propri orizzonti di pensiero e della capacità di comprensione della realtà. E mentre aspettiamo che la politica si adegui convertendosi a questa necessità esistenziale io penso alla responsabilità che in tal senso debbo prendermi come individuo.
Personalmente sono profondamente grato a un’idea che ha orientato la mia vita: «Ogni uomo è un educatore». Questa idea ha rimesso nelle mie mani la responsabilità di quanto accade nel mondo, ribadendomi un approccio coopetitivo basato sul principio “vita tua, vita mea” che è molto più fruttuoso e stimolante per tutti e per l’insieme. Questa idea dovrebbe essere alla base di una azione che coinvolga la dimensione aziendale, che poi è quella che vivo direttamente tutti i giorni.
Ritengo che le aziende contemporanee abbiano il compito essenziale di diventare il motore del cambiamento e dunque della diffusione di una nuova etica laica. Essendo i luoghi di aggregazione, condivisione, orientamento ed educazione più frequentati, potrebbero impegnarsi a diffondere un approccio coopetitivo al business, in cui il giusto mix tra competizione e cooperazione possa generare un vantaggio per il singolo ma al contempo anche per l’insieme.