L'incontro organizzato a Fiume Veneto da PordenonePensa è stato un'occasione per confrontarmi con un pubblico attento e sensibile sul grande tema della sostenibilità nelle organizzazioni.
“Questa è la nostra ora più buia” ha detto qualche giorno fa il nostro Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, facendo riferimento agli eventi storici degli anni 1940/1941 e al personaggio storico che in quegli anni fu certamente un protagonista: Winston Churchill.
Contemporaneamente molti hanno definito questo periodo particolarmente complesso e per questo snervante, come i giorni della retorica, sottolineando in tal modo, con una certa malcelata attitudine al vuoto sarcasmo, che siamo persone inclini alla commozione facile per i gesti di solitario eroismo ma poi passiamo oltre. Che amiamo i discorsi capaci di destare un sentimento intenso che poi non dura che sino al nostro successivo sbadiglio. Che prediligiamo le belle parole che esaltano gli animi ma non muovono a concrete azioni sinergiche.
E in effetti da qualche tempo la parola “retorica” si è macchiata con l’accezione negativa di discorso inutilmente ampolloso perché privo di pensiero morale, civile e intellettuale, cioè vuoto di sostanza. Ma siamo certi che sia così? Cioè che la retorica non sia più l’arte di parlare e di scrivere bene e in modo “efficace”?
Quando re Giorgio VI nominò il 65enne Churchill in sostituzione di Chamberlain, la Gran Bretagna era minacciata dal dilagare delle forze della Germania nazista dopo la caduta della Francia e la battaglia di Dunkerque. Chamberlain aveva appoggiato la politica di pacificazione europea sino alla vigilia della guerra, Churchill l’aveva da sempre osteggiata ritenendola troppo debole per contrastare l’aggressività di Hitler. Dunque, nel giorno in cui Francia, Belgio e Paesi Bassi subivano l’aggressione tedesca, il vecchio Tory entrò al 10 di Downing Street, pur non essendo molto popolare per la sua reputazione di instabile guerrafondaio, prese le redini di un paese rimasto da solo nella difesa della democrazia dell’occidente.
Questo era il clima che fece nascere il suo discorso alla nazione più famoso, comunemente ricordato come “la loro ora più bella” (their finest hour) che fu pronunciato nella House of Commons del Parlamento di Londra il 18 giugno del 1940 alle ore 15.49. Durò circa mezz’ora e il suo cuore era dedicato completamente alla guerra tra la luce e le tenebre di un mondo sotto il segno della svastica. Per scongiurare l’arrivo di questa “ora più buia” gli inglesi erano chiamati ai loro doveri sorretti dalla certezza che la vittoria finale avrebbe trasformato quel momento tragico in una delle più grandi opportunità per la democrazia e per la Gran Bretagna, momento che la storia avrebbe ricordato appunto come “ora più bella”.
Tre settimane dopo iniziò la Battaglia d’Inghilterra preconizzata nel discorso. Ad agosto del 1941 gli Stati Uniti entrarono in guerra dando una svolta verso l’esito che tutti sappiamo. Ma la prima spinta, il giro di chiave per l’accensione della macchina lo diede il discorso di Churchill.
Allora mi chiedo, siamo sicuri che la tanto declassata “retorica” sia un problema? O meglio, che sia il nostro problema? Non sarebbe più auspicabile e onesto che ci rendessimo conto dell’urgente bisogno che abbiamo oggi di riempire nuovamente di significato le nostre parole. Di comprendere che parole come rispetto, regole, attenzione, educazione, dovere e collettività non sono contrari di modernità o di progresso ma sono sinonimi di sviluppo e di futuro.
Oggi più che mai dobbiamo comprendere che ogni nostro gesto quotidiano può diventare, almeno in potenza, l’espressione di una volontà, di un orientamento, di una alternativa, di un consenso come di un dissenso, un vero e proprio voto politico. Vale per l’unità atomica della società che è l’individuo e anche per quella aggregata, cioè le diverse organizzazioni di persone. Dobbiamo ripensare i numeri con cui misuriamo il benessere e coniare nuovi parametri che siano all’altezza delle nostre vite perché questo nostro attuale modello non è più sostenibile. Dopotutto, quella che anche noi oggi ci troviamo davanti è davvero una grande occasione, se non l’unica, per trasformare la nostra “ora più buia” nell’ora più bella dell’intera umanità.
Quando questo momento di crisi sarà finito, perché finirà, cerchiamo di tenere viva la consapevolezza che queste ore ci stanno facendo vedere con chiarezza, di essere parte di un’economia sferica in cui ciascuno di noi deve fare la propria parte attivandosi nell’orientare al Bene collettivo le azioni dell’intero sistema.
Se ti interessa approfondire il mio punto di vista, puoi acquistare in prevendita una copia autografata e con una mia dedica speciale del mio libro "Gratitudine, la rivoluzione necessaria". Grazie a te, se vorrai condividere con altri questo messaggio, e grato alla vita, anche oggi. Con la speranza che tutto sia vissuto come un dono, un insegnamento, e un’opportunità per contribuire al benessere e all’evoluzione dell’insieme.