In uno dei miei due viaggi a Medjugorje, durante una predica sono stato folgorato da questa frase: “Per te c’è un piano molto più grandedi quello che tu hai fatto per te stesso”.
Traslando una mia già forte ispirazione interiore, pensando a cosa vorrei fare per divenire ciò che sento di dovere (e volere!) essere, quello che più mi emoziona, motiva, guida, ispira, è superbamente sintetizzato in una parola: “servizio”. Una parola che, se incarnata da molti e tra questi poi anche condivisa per un bene maggiore (perché comune), potrebbe essere risolutiva della maggior parte dei problemi che ci affliggono come umanità. Ricordo a tal proposito tratti di una preghiera che è proprio l’essenza di questo concetto: perché nessuno ha amore più grande di colui che dona la vita per i propri amici e fratelli.E chiunque voglia essere il maggiore facci agli altri ciò che desidera gli altri facciano a lui, divenendo il servo di tutti.
La preghiera, o anche una semplice meditazione o riflessione, sono momenti di grande pace per sé stessi. Un sacerdote polacco, Don Andrea, quel giorno a Medjugorjie mi disse: “La preghiera è ciò che abbassa il cielo e innalza la terra”. E io aggiungo: unendoli nel cuore dell’uomo. E’ come se ci fosse bisogno di una conversione finale di una massa critica di persone che decidano di consacrarsi a qualcosa di maggiore del solo sé stessi. Non è assolutamente una questione religiosa o anche spirituale. Si tratta di vita pratica, tremendamente pratica!
Perché ciò possa accadere, ho capito in questi anni che c’è un passaggio forzato necessario per un vero e profondo cambiamento: sottoporsi a uno stato d’obbligo, cioè all’espressione di una visione maggiore della nostra e che ci possa orientare. E ho anche intuito la vera sfida: all’aumentare della vocazione generata prima dalla comprensione di chi sei/cosa sei, poi nutrita dall’aspirazione a divenire ‘altro’, aumenta tremendamente la forza contraria che ti ruba la vita ad ogni istante e ti induce a fare l’opposto di ciò a cui invece aspireresti.
Insomma, mentre su un fronte si accumulano consapevolezza e frammenti di materia che resteranno dopo di noi, dall’altro c’è un’energia che si manifesta in differenti forme che ti depaupera di tutto quanto hai saputo fino ad allora generare. C’è un’unica via possibile per ri-costruirsi un futuro altrimenti già deciso: guardarsi dentro. Quale, dunque, quell’addestramento che ponga le proprie abilità, originarie o acquisite che siano, al centro della nostra esistenza, rendendole non più causa di altra vanità ma facendole divenire dono per me è per gli altri. Come trasformare il bisogno di un costante riconoscimento dall’esterno di cosa si è (o crede di essere) e cosa si da (o crede di dare) in pura Gioia fine a sé stessa, liberandosi dal senso di inadeguatezza e dal veleno della recriminazione? Anche perché l’oro è oro in quanto tale e non perché qualcuno lo possiede e qualcuno no.