L'incontro organizzato a Fiume Veneto da PordenonePensa è stato un'occasione per confrontarmi con un pubblico attento e sensibile sul grande tema della sostenibilità nelle organizzazioni.
Il nostro Pianeta sta immagazzinando più energia rispetto a quanto non facesse in passato. Lo hanno rilevato i ricercatori della Nasa e quelli della Noaa, l’agenzia federale statunitense che si interessa di oceanografia, meteorologia e climatologia, analizzando i dati raccolti dai satelliti e dalla flotta di boe oceaniche Argo. È un fenomeno, questo, alla base dell’aumento delle temperature.
L’analisi ci dice che tra il 2005 e il 2019 la differenza tra l’energia assorbita con i raggi solari e quella rilasciata nello spazio è raddoppiata a causa di molteplici fattori che dipendono in parte dalla natura, come per esempio dal fenomeno climatico naturale dell’oceano Pacifico, denominato oscillazione pacifica decennale poiché alterna lunghe fasi calde seguite da quelle fredde, ma per il resto sono certamente antropiche.
Questo rilevante aumento di energia, oltre che a cause naturali sarebbe dovuto prevalentemente alla riduzione dei ghiacciai e delle nuvole, che di conseguenza non riflettono più con la stessa capacità di prima i raggi solari, e alle maggiori emissioni di gas serra che rilasciamo nell’atmosfera. Secondo una recentissima analisi di Rhodium Group, un istituto di ricerca indipendente newyorkese, il primato di paese con maggiori emissioni lo detiene la Cina con 27% di quelle registrate su scala globale. Al secondo posto troviamo gli Stati Uniti con l’11 per cento, seguiti dall’India con il 6,6% del totale delle emissioni nocive mondiali. Al quarto ci sono i 27 Paesi dell’Unione Europea, con un complessivo 6,4%, poi l’Indonesia con il 3,4, la Russia con il 3,1, il Brasile con il 2,8 e il Giappone a quota 2,2.
Il nostro Pianeta si sta riscaldando più velocemente rispetto alle previsioni eppure, se nel 2019 la crisi climatica per noi italiani era il secondo tra i problemi maggiori e più urgenti da risolvere, oggi, solo due anni più tardi, soltanto 7 su 100 la indicano come il problema più grave in assoluto a livello globale. E anche se l’84% di noi, dunque la stragrande maggioranza, ritiene che sia un affare molto grave, a preoccuparci maggiormente sono la diffusione di malattie contagiose e l’andamento dell’economia.
A rivelarlo è l’indagine di Eurobarometro, il sondaggio condotto dalle istituzioni europee raggiungendo oltre 26mila cittadini di tutti i paesi membri tra marzo e aprile del 2021, che evidenzia oltretutto quanto il nostro paese sia in controtendenza rispetto al resto dell’Europa dove invece la percezione del problema è in aumento. In generale, oltre nove persone intervistate su dieci considerano i cambiamenti climatici un problema grave (93%), e quasi otto su dieci (78%) lo ritengono molto grave. Alla domanda di individuare il problema più grave a livello globale, oltre un quarto dei rispondenti (29%) ha indicato i cambiamenti climatici (18%), il deterioramento della natura (7%) oppure i problemi di salute causati dall’inquinamento (4%).
Siamo invece in linea con gli altri paesi nel ritenere i governi nazionali responsabili della lotta al cambiamento climatico. Che equivale a dire, in soldoni, che rispetto a questo problema le responsabilità dei singoli individui siano limitate. Infatti, la pensa così il 41% degli europei. Va detto però che in questo noi italiani ci distinguiamo in positivo in quanto siamo convinti più di altri di avere voce in capitolo nella lotta ai cambiamenti climatici. Anche se meno di metà degli intervistati è certo di aver fatto qualcosa di concreto negli ultimi sei mesi per contrastarlo, quasi nove su dieci concordano sul fatto che le emissioni di gas serra dovrebbero essere ridotte al minimo compensando le emissioni rimanenti per rendere l’economia dell’UE climaticamente neutra entro il 2050. E quasi otto su dieci ritengono che il denaro del Pnrr dovrebbe essere investito principalmente nella green economy.
Diverse percezioni e diverse sensibilità tra paesi, dunque, ed in questo la politica dovrà agire per non far dimenticare che i cambiamenti climatici mettono in pericolo tutte le comunità del mondo. Quel che occorre è instaurare un nuovo tipo di governance tra pari in cui assumersi la responsabilità collettiva di amministrare la propria parte della biosfera e garantire il ben-essere della propria comunità. Dovremmo abbandonare una buona volta le logiche competitive a favore di una Politica della Biosfera in cui costruire una civiltà ecologica che abolisca, svelando la loro futilità, i confini nazionali.
Tutto ciò che ognuno di noi fa nei propri quartieri e nelle proprie comunità si estende oltre le frontiere degli stati e colpisce tutti gli altri nel mondo, i nostri simili e gli ecosistemi in cui abitiamo. Partiamo dai nostri gesti quotidiani e allarghiamo la nostra influenza positiva sul Pianeta, senza confini.