Questo è il primo istante in cui trovo la forza di dare forma alle sensazioni vissute in questi giorni e alle emozioni provate.
Mi ritengo un uomo fortunato perché da 28 anni conosco Ennio Doris e per 21 di questi ho anche lavorato per lui, con lui, ricevendo insegnamenti personali e professionali, condiviso in pubblico e in privato e donatimi con delicatezza e amore così come con forza e autorevolezza. Una sequenza infinita di doni che proprio l’energia natalizia di questi giorni trasforma in un patrimonio per me inestimabile.
Tra questi, tutti intimamente connessi al rapporto tra un genero e un suocero come tra un manager e un imprenditore, ce n’è uno soltanto che mi sento per ora di rendere pubblico, a distanza di una settimana dalle sue esequie, mentre preferisco ancora serbare tutti gli altri negli anfratti del mio cuore. Un dono che peraltro era nato a beneficio di tutti fin dall’inizio del suo concepimento: le sue parole.
Ennio era un maestro nell’arte dell’eloquenza! Un essere spirituale che dava forma al mondo delle Idee e a quello dei Valori con le sue parole di essere umano.
Per la postfazione del mio libro “Gratitudine, la rivoluzione necessaria”, Ennio mi ha donato un testo meraviglioso, che ripercorre la sua biografia, i concetti chiave che hanno forgiato la sua visione del mondo prima e Banca Mediolanum poi, l’intreccio coi progetti valoriali ed educativi sviluppati insieme in azienda, alcune delle scelte controcorrente compiute a sostegno delle vittime di rovesci finanziari (come il crollo di Lehman Brothers) e naturali, dai terremoti alle alluvioni ed esondazioni. Parole in cui ti rendi conto come il sentimento della gratitudine rappresenti la vera imbastitura della sua esistenza, nonché uno dei punti di forza che gli hanno permesso di essere un autentico visionario.
Non parlerò del debito che ho nei suoi confronti come genero e come manager, perché la gratitudine, appunto, non è un risarcimento, né un bilanciamento di un saldo, bensì qualcosa di evolutivo: l’instaurare un rapporto, uno scambio tra individui, tra anime. Anche questo ho imparato da lui e con lui.
Grazie, Ennio. Ci sei sempre stato, ci sei, e sempre ci sarai.
Ti amo dal profondo del mio cuore, Oscar
Postfazione
di Ennio Doris
Nutro un profondo senso di gratitudine per tutto ciò che la vita mi ha riservato e quotidianamente mi riserva. Doni che mi hanno reso e mi rendono un uomo fortunato. Sì, fortunato. Sin dalla nascita che è avvenuta a Tombolo, un territorio di mediatori di bestiame. Mio padre era appunto mediatore di bovini, andare ai mercati con lui mi faceva sentire orgoglioso e fiero. Ho avuto un’infanzia povera ma felicissima vissuta in una casa che conteneva tutto il mio parentado e la cui porta era sempre aperta.
Sono stato fortunato quando a dieci anni mi venne la nefrite, una infezione grave ai reni. Mi salvò la penicillina americana, ma non potevo lavorare come i miei amici e i miei cugini che andavano ai mercati svegliandosi alle tre del mattino ed erano già entrati in quel mondo bellissimo degli adulti che io potevo solo sognare. Dunque, non potendo lavorare, andai a scuola. Feci le medie e poi la ragioneria, con le borse di studio. Ero molto forte in matematica. La mia professoressa avrebbe voluto che frequentassi l’università, si era finanche offerta di aiutarmi nel mantenimento mandandomi i suoi studenti a ripetizione. Ma io le dissi che non mi bastava mantenermi, che volevo iniziare a essere proficuo per la mia famiglia come mia sorella Udilla che faceva già la camiciaia per quattordici ore al giorno.
In famiglia siamo stati abituati a fare al meglio tutto quello che facevamo, qualunque cosa fosse: accudire il bestiame, andare a scuola, lavorare. E così feci anche in banca, dove avevo preso a lavorare dopo il diploma, e dove per questo iniziai a fare carriera. È stato grazie al mio lavoro in banca, un giorno che mi stavo recando a casa di clienti, che ho potuto conoscere Lina, che non solo è diventata mia moglie e la madre dei nostri due figli, Massimo e Sara, ma all’inizio mi ha anche fatto da segretaria o da autista, supportandomi in tutto, e soprattutto rendendosi parte attiva dei miei sogni. E io ho sempre sognato in grande.
Volevo creare un’azienda che fosse il punto di riferimento degli italiani per tutti i temi di risparmio, di previdenza e di protezione e che avesse nel DNA quel particolare modo di fare banca che ho appreso durante i miei primi anni di attività e che ho subito amato. Su questo modello ho costruito nel 1982 la mia azienda, Programma Italia, divenuta poi nel 1997 Banca Mediolanum.
Un modello che si basava sull’attenzione costante dedicata a ogni singolo cliente. Li conoscevamo uno per uno. Di loro sapevamo tutto: nomi, soprannomi, sogni, progetti, obiettivi di vita. I clienti non sono mai stati algidi numeri di conto, ma persone. Donne e uomini in carne e ossa, con un cuore, un cervello, una mente e soprattutto un’anima. Artigiani, operai, impiegati, imprenditori, insegnanti, medici, avvocati, ingegneri, attori, artisti, pensionati, tutti accomunati dalla necessità di soddisfare i propri bisogni e dal desiderio di realizzare i propri disegni di vita, personali e familiari, attraverso il risparmio frutto del duro lavoro di ciascuno. Dell’ingegno e dell’impegno quotidiani. A guardare il denaro da questa prospettiva si vedono panorami più ampi del semplice rendimento o del semplice profitto. Si vedono paesaggi che durano l’arco di vite intere, dove si alternano le salite ripide dei progetti da realizzare, delle fatiche da sostenere, degli esami che non finiscono mai, talvolta degli affanni e delle preoccupazioni, e persino delle lacrime. Ma anche le discese euforiche che si aprono di fronte alle conquiste, ai traguardi raggiunti, alle vittorie realizzate. E poi le pianure, quei territori in cui ci si sente tranquilli, protetti, al riparo dagli imprevisti. A guardare il denaro da questa prospettiva si vedono anche gli obblighi morali e intellettuali che chi fa banca deve te ere ben presente, sempre! Tanto più se sono oramai universalmente riconosciuti come un vantaggio competitivo. Anzi, a maggior ragione oggi, in un’epoca dominata dalla tecnologia, in cui la possibilità di essere sempre connessi ci fa sembrare le cose sempre più vicine, sempre più a portata di mano; in realtà restringendo e banalizzando la vastità e la varietà del mondo. Nell’epoca in cui viviamo il rischio che corriamo tutti quanti è proprio quello di abituarci a invertire i ruoli, delegando alla tecnologia ciò che è sempre stata la peculiarità distintiva dell’uomo: dotare la propria esistenza di uno scopo.
Parlare di centralità della persona, quindi, è essenziale in qualunque settore di business. Parlare di centralità della persona nella mia azienda ha sempre significato agire guardando ai clienti, ma anche all’intera community dei family banker, dei dipendenti, dei collaboratori e della collettività.
Chi conosce la nostra storia d’impresa sa che è scandita da una lunga serie di concrete dimostrazioni di responsabilità sociale, che oggettivamente ha pochi confronti sul mercato. La punta dell’iceberg è data dall’evento sotto ogni punto di vista più eclatante, avvenuto subito dopo il default di Lehman Brothers, quando – primi e unici al mondo – scegliemmo di intervenire a tutela dei nostri circa 11.000 clienti che avevano nostre polizze con sottostanti obbligazioni della banca d’affari americana fallita.
A fatica, poiché la norma non lo consentiva, riuscimmo a fare correttamente in modo che i due principali azionisti, la mia famiglia e Fininvest, si assumessero in un contesto senza precedenti o esempi da seguire l’onere di oltre un centinaio di milioni di perdite. Ma la stessa attitudine si esplicita anche in tante altre azioni concrete, per esempio con il supporto operativo e l’elargizione di liberalità in occasione delle tante calamità naturali che hanno colpito, e ahimè ancora colpiscono, il territorio italiano. A ogni terremoto o alluvione o esondazione ci chiediamo cosa possiamo fare per non lasciare da soli in un momento di estrema vulnerabilità i nostri clienti e i nostri collaboratori. Tuttavia, non possiamo parlare di centralità della persona senza anche occuparci del suo stato di benessere generale nel lungo periodo.
Non possiamo pensare di valorizzare gli asset finanziari delle persone senza valorizzare e sviluppare costantemente il loro e il nostro capitale umano, cioè l’insieme di conoscenze, competenze, abilità, idee, aspirazioni ed emozioni che vengono acquisite e sviluppate da ciascun individuo nell’arco dell’intera vita e che, permettendogli il raggiungimento di obiettivi sociali ed economici, hanno naturali ricadute positive sull’intera collettività. Non conosco un modo per sviluppare il capitale umano delle persone che non passi dall’educazione. L’educazione non è solo il sapere o la cultura o l’apprendimento delle nozioni specialistiche o tecniche che ci permettono di svolgere le nostre professioni: l’educazione abbraccia in maniera olistica la materia esperienziale di cui siamo fatti.
Quante volte di fronte a un medico o a uno specialista appena conosciuti non ci siamo sentiti compresi, né quindi al sicuro, e abbiamo temuto per i nostri progetti di vita, per la nostra famiglia? Nelle faccende in cui è in gioco la fiducia l’esito dipende non solo dalle competenze ma anche dall’empatia e dalla capacità di avviare la relazione su canali di apertura al dialogo e soprattutto all’ascolto. Anche il miglior medico del mondo è in difficoltà se non parla la stessa lingua del paziente e non entra in empatia con lui.
Nel nostro ambito, che un family banker conosca perfettamente gli strumenti, i prodotti e i servizi che può offrire al proprio cliente è la norma basilare, il requisito fondamentale; che conosca, per esempio, i supporti tecnologici di cui può avvalersi nella gestione del tempo o della relazione con le persone o della sua agenda, è un obiettivo raggiungibile con semplici aggiornamenti formativi su questo o quello strumento. Ma affinché conosca la totalità della vita del proprio cliente, nelle sue dimensioni interiore ed esteriore, così come i suoi obiettivi, i bisogni, i progetti di ogni componente della sua famiglia, le sue aspirazioni più intime e profonde, gli servono capacità che vanno dalla dialettica all’apertura mentale alla sensibilità alla prossimità e soprattutto all’“intelligenza del cuore”. E quindi serve un esercizio costante di sviluppo di se stessi.
È sulla scorta di questo convincimento che io e mio figlio Massimo, ora alla guida dell’azienda, condividiamo con Oscar progetti aziendali a cui abbiamo dato vita insieme e ora divenuti presto centrali perché precursori di trend avanguardistici. In particolare, il progetto di fondare una corporate university, poi pluripremiata anche a livello mondiale, come la nostra MCU (Mediolanum Corporate University), nasce in realtà molto prima del 2009, l’anno in cui è stata inaugurata. MCU è, se vogliamo, il coronamento di progetti formativi e educativi mirati allo sviluppo personale di più lungo corso, coerenti col modello organizzativo della così detta longlife learning organization, quali ad esempio “Rainbow”: un progetto per lo sviluppo del potenziale umano realizzato con l’organizzazione di Patrizio Paoletti.
Infine, non possiamo parlare di centralità della persona se non caliamo questa nostra dimensione valoriale in un contesto più generale che si chiama collettività, con la quale condividere sorti, frutti e benefici delle nostre vite, così come rischi e opportunità. Non pensate che sarebbe un esercizio estremamente sterile diventare un caso esemplare che basta a sé stesso? Noi lo pensiamo, per questo nel 2002 abbiamo istituito Fondazione Mediolanum Onlus, che ha come obiettivo quello di offrire all’infanzia in condizione di disagio, accanto all’assistenza di primo soccorso, anche l’accesso a strumenti di istruzione e educazione affinché le molte decine di migliaia di bambini che intercettiamo possano raggiungere quell’autonomia utile a costruirsi una vita adulta libera e rispettosa dei valori universali.
Tuttavia, diventare i migliori del mondo a cosa serve se non si è anche i migliori per il mondo?
Da questa provocazione è nato anche il nostro progetto Centodieci. Un sistema di racconto integrato, tra web magazine ed eventi sul territorio, di una serie di valori e di esperienze di vita che siano fonte di ispirazione non solo positiva, ma anche orientativa, per un pubblico quanto più ampio possibile. La partecipazione attiva di Centodieci nei calendari e nelle agende di città capitali della cultura come Palermo nel 2019 o Matera nel 2020, ma anche di Milano nell’anno delle celebrazioni leonardesche e di molte altre, è fonte di orgoglio e soddisfazione, nella consapevolezza di avere a suo tempo scelto la strada giusta per la vera modernità, quella della conoscenza.
Sicuramente la nostra è un’epoca in cui sul mercato si scontrano due diverse visioni del mondo. Alcuni ignorano l’istanza sempre più crescente in fatto di sostenibilità, etica d’impresa, benessere collettivo, inclusione, trasparenza, non percependo ancora alcun ritorno positivo da investimenti in questi ambiti. Altri ci credono e si impegnano a fondo temendo però di venire puniti dal mercato. Ma la discriminante è solo il tempo. Presto o tardi il mercato restituirà tutto con gli interessi.
Come racconta la nostra esperienza nel caso Lehman: negli anni successivi abbiamo visto una crescita esplosiva delle masse di risparmio in gestione e del numero dei clienti. Nel mondo si registra una sempre più forte richiesta di un nuovo
capitalismo, che contemperi il perseguimento degli utili con il rispetto dell’ambiente e della persona in tutte le sue modalità di relazione con l’impresa. È un trend che sempre più attirerà nuove adesioni. Deludere le attese dei clienti da ora in avanti determinerà delusioni e disaffezioni irreversibili in qualsiasi settore. Banca Mediolanum è nata e cresciuta
su questa consapevolezza e ne ha fatto un tratto distintivo sul mercato e nella comunicazione portata avanti da Oscar e dal suo team quando già era alla direzione del marketing. Non avrebbe potuto essere altrimenti; storicamente io stesso ho cercato di essere il volto e l’immagine della nostra credibilità aziendale, seguito poi anche da mio figlio Massimo che è oggi amministratore delegato, così come da nostri family banker o manager che hanno incarnato di volta in volta il nostro concetto di impegno d’impresa.
Questa nostra impronta originale, direi quasi genetica, ci ha guidati in molte scelte importanti come anche in quelle più ordinarie della quotidianità, e capire in che modo ci possa condurre a farne di nuove è la prospettiva con cui guardiamo al futuro. Ci sentiamo responsabili di essere parte attiva di un cambiamento necessario. Il nuovo prossimo passo è dunque quello di divenire un’azienda esemplare nel mondo per efficienza, solidità e redditività, ed essere all’avanguardia, ben più che semplicemente innovativi. Sempre nel pieno rispetto dei principi di etica e sostenibilità indicati dalle Nazioni Unite e dalla Commissione Europea, continueremo a perseguire una strategia aziendale ispirata a un sistema di valori universali condivisi e riconosciuti da tutte le diverse generazioni che oggi compongono il mercato e l’intera società, orientata al benessere del singolo e allo stesso tempo alla ricerca di un vantaggio comune a tutti gli stakeholder e al Pianeta che ci ospita. E gratitudine sarà la parola chiave.