Un mondo di nuovi poveri

È un’affermazione molto forte quella che Kristalina Georgieva, direttrice del Fondo monetario internazionale, ha espresso quando ha detto che “guerra in Ucraina significa fame in Africa”.

E pur tuttavia, per quanto feroce possa apparirci nella sua schiettezza, è una ferocia con la quale dobbiamo fare i conti poiché quest’ultimo conflitto in ordine di tempo, come per tutti i conflitti esistenti ed esistiti al mondo, oltre al disperante costo di vite umane sperperate direttamente sui campi di battaglia, ne ha anche un altro, di più ampio raggio e di più lunga durata, che tocca tutti gli altri paesi e che pesa soprattutto su quelli più poveri.

Perché ha parlato di fame? Perché molti governi a livello mondiale hanno difficoltà a gestire l’aumento dei prezzi dei prodotti agricoli dovuto al conflitto, e questo aumento finisce col generare una crisi che colpisce in particolare prodotti essenziali come il grano, l’orzo e l’olio di semi di girasole. Rafforzare la produzione di queste materie prime è particolarmente complicato, soprattutto perché quasi un terzo della produzione mondiale di grano proviene dalla Russia e dall’Ucraina e, oltretutto, c’è da considerare che i prezzi del mercato alimentare erano già in salita a causa della pandemia e di una serie di eventi meteorologici estremi che nell’ultimo anno hanno danneggiato i raccolti. L’aumento dei prezzi del grano e del mais, per fare un esempio, ha spinto i paesi asiatici a comprare riso di bassa qualità per nutrire gli animali, provocando forti rincari sul mercato di un cereale alla base della dieta di milioni di persone in tutto il mondo.

 

Il bollettino FAO: prezzi alimentari alle stelle

Secondo l’ultimo bollettino della FAO, a marzo i prezzi alimentari mondiali hanno raggiunto i livelli più alti di sempre registrando un aumento del 12,6%. Un aumento record che, tra l’altro, ha battuto quello toccato il mese precedente che si era già attestato come l’aumento più alto della storia dell’indice elaborato dall’agenzia Onu che dal 1990 a oggi traccia la variazione mensile dei prezzi internazionali di un paniere di prodotti alimentari di base.

Da febbraio a marzo i prezzi del grano e dei cereali sono aumentati del 17,1%, del 23,2% quello degli oli vegetali a causa dell’innalzamento delle quotazioni dell’olio di semi di girasole di cui l’Ucraina è il principale esportatore mondiale, del 6,7% quello dello zucchero (che registra un + 20% rispetto a marzo dell’anno scorso!), del 4,8% quello della carne e del 2,6% quello dei prodotti lattiero caseari (questi ultimi raggiungono un +23,6% rispetto a marzo 2021) con le quotazioni di burro e latte in polvere aumentate vertiginosamente a causa  dell’impennata delle importazioni per consegne a breve e lungo termine, soprattutto dai mercati asiatici.

Una situazione dunque che impatta su tutti ma che mette a rischio soprattutto la sicurezza dei paesi più poveri, dove beni come la farina e l’olio per cucinare sono già difficili da reperire. In Africa venticinque paesi importano più di un terzo del loro grano dalla Russia e dall’Ucraina. Per quindici la quota è superiore al 50 per cento. La Tunisia ha dichiarato che le sue scorte di grano sono sufficienti almeno finoOxfam stima che tra gli effetti della pandemia e i pesanti rincari alimentari dovuti alla crisi ucraina, saranno 263 milioni i nuovi poveri nel mondo a giugno, ma deve cominciare a trovare mercati alternativi. E intanto si sente già la penuria di semola, farina e olio vegetale, prodotti di prima necessità sovvenzionati dallo stato. Il governo egiziano, invece, ha deciso di estendere i terreni coltivati sfruttando superfici in precedenza desertiche, nella speranza di raccogliere quest’anno fino a 5,5 milioni di tonnellate di grano, contro i 3,5 milioni del 2021. La situazione, tuttavia, potrebbe cambiare poco, visto che il paese importa ogni anno circa dodici milioni di tonnellate di grano, l’80 per cento delle quali dalla Russia e dall’Ucraina.

 

Un mondo con 860 milioni di persone sotto la soglia di povertà 

Che guerra e fame si alimentino a vicenda è un dato di fatto incontrovertibile. Tuttavia, se anche alla luce di questo scenario vi fossero ancora dubbi, arrivano a fugarli le proiezioni allarmanti di Oxfam: saranno 263 milioni i nuovi poveri, che potrebbero ritrovarsi a dover vivere con meno di 1,90 dollari al giorno. Cioè un numero più alto dell’insieme delle popolazioni di Italia, Spagna, Germania e Regno Unito.

Secondo il rapporto “Dalla crisi alla catastrofe” pubblicato appunto da Oxfam alla vigilia degli Spring Meetings della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale (in programma a Washington dal 18 al 24 aprile), le persone che si ritroveranno sotto la soglia di povertà salirebbero così a un totale di 860 milioni. Quasi un miliardo di uomini e donne che saranno dunque obbligati a dover scegliere nei prossimi mesi tra mangiare, riscaldarsi o far fronte alle spese mediche.

In Occidente siamo tutti cresciuti con un certo positivismo di fondo, inculcato più o meno consapevolmente nei substrati del nostro essere. Un’idea di inevitabilità del progresso, del muoverci gradualmente verso la costruzione del migliore dei mondi possibili. Ma le sfide del nostro tempo stanno mettendo in crisi questo costrutto che ci portiamo dentro. Esse sono diventate sempre più pressanti, ancora più difficili da vincere e richiedono più che mai quella concordanza tra i popoli del mondo che oggi ci appare come un miraggio irrealizzabile, un sogno per bambini. Ma certamente possiamo, come individui e ognuno nel proprio raggio d’azione, provare a ribaltare la prospettiva. E metterci l’anima nel farlo, consci che il lieto fine non è più un epilogo scontato.

 

Se vuoi approfondire il tema, guarda l’episodio della nostra web serie Pianeta Centodieci intitolato Un tavolo per dieci miliardi, dedicato all’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile numero 2: Zero Hunger