Quanto durerà la pietà?
Se lo chiede Domenico Quirico inviato nei teatri di guerra del quotidiano La Stampa, descrivendo l’entrata degli ucraini nel grande e nuovo popolo del Ventunesimo secolo, quello dei migranti. Quello che ha già visto nei volti e sentito nelle voci di mille altri, afgani, siriani, ecc. le stesse urgenze di fuga da un mondo di guerra e di miseria. Quello che finisce per trovare oltre le frontiere uno sguardo che ne scruta la disperazione e poi si esaurisce.
Quanto durerà la pietà è una domanda che dobbiamo porci tutti, visto che non succedeva dalla Seconda guerra mondiale che nella nostra Europa in poche manciate di giorni il numero dei profughi superasse i due milioni e mezzo. Più del doppio delle guerre dei Balcani, che ne ha contati 1 milione tra il 1991 e il 1995, e per la crisi dei migranti da Siria e Afghanistan (932.971 tra il luglio del 2015 e il marzo dei 2016), il triplo di quelli del Kosovo (750 mila nel 1999). E siccome se ne stimano 8 milioni, le voci di chi chiede quanti di questi profughi siamo in grado di ospitare con il nostro sistema di accoglienza si levano già alte.
“Il flusso cresce con eccezionale rapidità da un giorno all’altro, ed è destinato ad accelerare”, ha detto il premier Mario Draghi di fronte alla Camera dei deputati. Che tradotto in cifre significano centinaia di migliaia di arrivi, forse più di mezzo milione. Perché, come ha scritto la Commissione europea, il nostro è uno dei paesi “di destinazione tradizionale” visto che in Italia c’è una comunità ucraina di 240mila persone, la cui solidarietà per ora sta assorbendo quasi tutti gli arrivi. Sono nuclei piccoli e spesso monoreddito che riescono ad accogliere in casa quattro, sei addirittura otto profughi. Un’accoglienza che per ora ha retto, ma quanto può durare?
Quanto, appunto, saremo disposti a far durare la pietà verso questa fiumana di donne e bambini che si sono lasciati alle spalle le loro case e le loro città in fiamme ma ne hanno ancore il bruciore negli occhi? Quanto prima che anche essi entrino nel grande calderone acceso sulla brace del nostro odio, sia reale che digitale? Ricordiamo che il grande popolo dei migranti è uno dei bersagli verso cui la nostra società storicamente indirizza l’odio insieme a quello razziale (ebrei, musulmani), di genere (donne, gay), e, triste eredità degli anni di pandemia, verso il personale sanitario che pure abbiamo applaudito dai nostri balconi e ringraziato sui social con autentica commozione lacrimevole nei primi mesi di Covid.
Medici e infermieri, in pochi mesi da eroi sono diventati invisibili se non addirittura nemici, e a testimoniarlo è l’escalation di episodi di violenza non solo verbale ma anche fisica. Un’escalation che ha spinto un noto e grande ospedale, per fare un esempio, a far sperimentare ai propri medici e paramedici un giubbotto antiaggressione che lancia un potente allarme sonoro oltre inviare telefonate e sms a vigilanza e forze dell’ordine.
E se siamo stati tanto rapidi e abili nel trasformare in nemici coloro che ci hanno fornito cura, assistenza, supporto nella guerra a un nemico invisibile quanto comune, adoperandosi nel soccorso delle nostre vite in pericolo, e spesso salvandole, come possiamo evitare che ciò accada con chi oggi chiede a noi di salvare la loro vita e dei loro figli? Ecco perché è importante chiederci quanto durerà la pietà, e attrezzarci politicamente e socialmente di conseguenza, affinché queste vite umane non debbano dipendere dalla sua brevità.