L’epoca dell’imperatore LOL

Vi sarete accorti tutti che negli ultimissimi giorni si è tornato a parlare (o piuttosto a straparlare?) di Lanzichenecchi. Il motivo credo sia noto a tutti: il reportage di un viaggio in treno da Roma a Foggia scritto da Alain Elkann e pubblicato da Repubblica. Ma cosa ha scatenato il chiacchiericcio, le frecciate e in taluni casi anche un velenosissimo sarcasmo? Sicuramente diversi aspetti che non sono né dettagli trascurabili né lievi sfumature.

 

Una distanza incolmabile

Il primo è certamente legato alla relazione diretta tra l’estensore del racconto e la testata che lo ha pubblicato, dato che si tratta del padre dell’editore. Il secondo è lo stile linguistico scelto dall’autore, che lo fa subito sembrare più simile a un marziano sulla Terra che a un viaggiatore italiano contemporaneo. Il terzo è per l’assoluta distanza intellettuale che pare voler mettere tra se stesso e gli altri passeggeri che, sebbene abbiano dalla loro parte la fortuna di vivere la stagione della giovinezza, non hanno, tuttavia, quella di un’intelligenza titillata nei migliori college e di una allure conquistata col fruscio discreto del denaro, quello vero.

Dunque, il bisogno tutto nostrano e tutto contemporaneo di dissacrare ogni sacralità, anche quella di un attempato signore, nato negli USA nel 1950 dall’unione tra un banchiere e industriale francese e una discendente della nota famiglia di banchieri torinesi Levi Fubini, nonché marito di Margherita Agnelli dal 1975 al 1981 e padre di Ginevra, Lapo e John, quest’ultimo appunto editore di Repubblica oltre che “erede” di Stellantis e di Juventus, è deflagrato nella maniera più grottesca possibile. Ed è rimbalzato ovunque potesse rimbalzare, tra i denti e la lingua di molti se non di tutti, anche tra quelli dei più insospettabili e non solo del popolo di quel mondo social che oramai si è ridotto al mesto rango di tinello pur essendo nato con la camicia del grande democratizzatore.

 

La deriva del ridicolizzare tutto e tutti 
foto di Gints Ivuskans / Shutterstock.com

Certo, di tutto si può ridere nell’epoca in cui il vero imperatore si chiama LOL. E di tutto ridiamo, senza ritegno: il presidente USA stringe la mano a un amico immaginario? La nostra reazione è riderne e non invece chiederci se il capo della più grande potenza occidentale abbia la lucidità necessaria al ruolo. Pyongyang accoglie il ministro della Difesa russo Sergej Shojgu e il membro del Politburo del Partito comunista cinese Li Hongzhong facendo sfoggio di missili balistici e nuovi droni vietati dall’Onu? Anche in questo caso la risposta è creare gli ennesimi meme su Kim Jong-un.

Riusciamo a rendere risibile anche le guerre, le carestie, i disastri ambientali, le vittime dei bullismi e delle violenze di genere… Riusciamo a ridicolizzare tutto ciò che invece dovrebbe essere preso sul serio per poi essere affrontato con sensatezza. È un alibi che scegliamo scientemente per non assumerci le responsabilità che stare al mondo comporta? È un escamotage per non affaticare le nostre vite che vorremmo fossero leggere come una battuta di spirito, appunto, e non complicate come in realtà sono? Oppure è una strategia per tenerci tutti concentrati sui nostri piedi come ballerini che danzino sul Titanic?

 

Una misera misura?

Qualsiasi sia la ragione, resta il fatto che riusciamo a ridere di tutto tranne che di ciò di cui dovremmo ridere. Torniamo al “caso Elkann” da cui siamo partiti: abbiamo riso fino ad affogare nelle nostre lacrime su ogni aspetto della storia, dall’abito di lino blu alla stilografica alla citazione della “recherche “di Proust alla riesumazione della storica milizia mercenaria nota per la sua particolarmente spiccata crudeltà per definire i giovani compagni di viaggio.

Ma ci siamo chiesti se invece non avremmo dovuto ridere delle figure dei giovani capitati in quella scena? Se non fossero proprio quella loro pochezza, quei loro modi, quelle loro volutamente tarpate ambizioni – il calcio e le ragazze – i reali motivi per ridere, con risate da lacrime amare? Non sarà che a ridere bene, perché ride per ultimo, è proprio l’attempato estensore del racconto d’estate che ci mostra i frutti della nostra trascuratezza culturale e sociale attraverso lo spettacolo di una gioventù che talvolta rappresenta un po’ miseramente la propria misura?