A distanza di 18 mesi dall’ultima volta che sono stato in Israele, mi è stata offerta nuovamente la possibilità di tornare (per la terza volta) a Gerusalemme e trascorrere alcuni giorni di studio e formazione personale. Che dire? …niente. Silenzio. Profonda e intensa riflessione. Poche domande ben formulate e già gravide delle loro risposte. Comprensione. Ascolto.
Girando per la città antica, tra quelle mura inespugnabili agli occhi di un uomo moderno, mi sono sforzato di osservare come prendesse forma la vita in questo luogo così lontano dalle ordinarie dimensioni di spazio e di tempo. La manifestazione predominante, sia dentro che fuori di me, è stata ancora una battaglia: la battaglia tra il rumore e il silenzio.
Era stata la voglia di maggior silenzio a ricondurmi nuovamente in questa terra e invece, come per le volte precedenti, sono stato accolto da un gran rumore, nonostante che molto di ciò che era attorno a me sembrasse fatto, almeno apparentemente, per sostenermi in questa mia rincorsa alla quiete.
Alla quarta stazione della Via Dolorosa, scritto sull’arco di una galleria che scendeva in una grotta dove i pellegrini vanno a meditare in contemplazione, mi compare la parola SILENTIUM scritta a caratteri cubitali, e ho subito desiderato che questa parola risuonasse in me come un ordine imperativo senza diritto di replica. Il Silenzio si è così manifestato, magicamente e nella sua semplicità, per differenza nel confronto tra il rumore ricorrente nella mia vita ordinaria e la mia idea di pace assoluta. Si è trattato di una semplice sottrazione aritmetica:
[twittami] Pace Assoluta – Rumore = Silenzio [/twittami]
Anche questa volta, dopo poche ore dall’arrivo in città, mi era stata subito data una sola, piccola, semplice indicazione da seguire:
“Andate per la città e osservate. Fuori, vedrete molte contraddizioni e sentirete molto rumore. Voi cercate il silenzio dentro di voi.”
Girovagando per Gerusalemme, indipendentemente dal trovarsi, a distanza di pochi passi, in mondi culturalmente così distinti fra loro (penso alle differenze fra il quartiere armeno, quello arabo, quello ebreo ortodosso, ecc…), ho potuto scoprire che il gran tumulto lo facevo soprattutto io, dentro di me, mentre fuori si manifesta solo una speculare riflessione della mia condizione interiore. La consapevolezza maturata è stata importante: nella vita (certamente nella mia vita) è utile fare meno rumore e restare maggiormente in ascolto, soprattutto di cose che non conosco ma che troppo spesso immagino di conoscere; ingannando me stesso per primo.
Per capire, dovrei dedicarmi di più al fare, allo sperimentare, all’indagare. Sento che prima di parlare di qualsiasi cosa, prima di dare una risposta a una domanda, prima di rispondere a una qualsiasi sollecitazione, prima di esprimere un pensiero (o, peggio, un giudizio) su qualsiasi cosa, prima di prendere qualsiasi posizione radicale, è utile ricercare un momento di silenzio, di ascolto, mettendo distanza, rifugiandosi in un luogo neutro in cui lasciare che le cose siano semplicemente ciò che sono, indipendentemente da noi o, meglio, che le cose possano essere ciò che sono, senza privarle di questa possibilità perchè costrette alla forma che noi vogliamo che esse forzatamente abbiano (leggi, se lo desideri, il post “Sapere di non sapere è il segreto per sapere”).
Nel tentarvi, e nel riuscirvi solo in parte, ho osservato che accade una magia: si riesce ad inserire un momento, tra la sollecitazione e la risposta (che altrimenti si darebbe solo meccanicamente) che produce brevi attimi di vita in cui si ha una chiara consapevolezza del tutto, in cui si produce una reale comprensione di ciò che veramente sia più utile fare o dire e quindi essere. Ed è in questi attimi di puro silenzio che è come se si creasse uno spazio, lo spazio della possibilità. La possibilità prima di ascoltare, poi di sperimentare, quindi di essere (nuovi). Ascoltare per capire cosa stia veramente accadendo fuori. Sperimentare per comprendere. Sperimentare per produrre un punto di vista nuovo, per quanto ancora soggettivo, su una cosa, e soprattutto per smettere di credere che le cose siano solo ed esclusivamente come finora ci è stato raccontato o detto di credere che esse siano.
A questo punto mi sono venute in salvo le parole di una carissima amica, Gianna Fratta. Gianna è una delle pochissime donne italiane Direttore d’Orchestra con cui poco più di un anno fa scrivemmo un post a due mani per questo blog (“Alla ricerca del silenzio che non esiste”). In esso Gianna suggestionava il lettore con le seguenti parole: “Caro Oscar, non credo che il silenzio esista, né nella vita né nella musica. Esiste ed è doverosa la ricerca del silenzio, sia per il musicista che per l’uomo. Ed essa ti svela che il silenzio non c’è! Quando cerchi il silenzio, trovi l’ascolto di quel che c’è a prescindere da te stesso, nella vita come nella musica. Quando cerchi il silenzio trovi il suono e la vita, e ne prendi consapevolezza”.
Ascoltiamo poco e veniamo ascoltati poco. Veniamo ascoltati poco perché l’altro è come me: non ascolta; l’altro è come te: non ascolta.
Dove non c’è silenzio, non c’è ascolto. Dove non c’è ascolto, non c’è comprensione. Dove non c’è comprensione, non c’è possibilità.
Il rumore domina dappertutto. Facciamo silenzio dentro e il rumore cesserà fuori. E’ nel rumore, nel caos, che di solito si viene derubati, e quasi sempre avviene senza che ce se ne accorga. Veniamo derubati del portafogli nelle strade delle nostre città. Veniamo derubati delle nostre idee e dei nostri progetti dalle aziende competitor. Veniamo derubati dei nostri affetti nelle nostre relazioni sociali e affettive. Veniamo derubati delle nostre libertà e dei nostri diritti di base da cattivi governi e da pessimi politici. Veniamo derubati dei nostri diritti fondamentali dal deprecabile uso strumentale degli eserciti, della guerra e della violenza in genere.
Ma è nello stesso rumore che si può derubare al rumore proprio sè stesso. Esso non se ne accorgerà, perché il rumore è ignorante. Il rumore ignora il silenzio. E quando si accorgerà di essere stato derubato sarà oramai troppo tardi, perché regnerà già Sua Maestà il Silenzio. In questo periodo di tumulti sociali, finanziari, politici, potremmo costituire un movimento di coscienze, Il Movimento del Silenzio. Sarà una strada in salita, una scalata, un sacrificio (= sacro-fare).