A cavallo tra fine ottobre e inizio novembre, a distanza di pochissimi giorni, ho avuto l’opportunità di andare prima a Gerusalemme per ragioni di studio e di formazione personale e poi, improvvisamente, con la mia famiglia abbiamo deciso di andare a Medjugorje. Che dire? …niente. Silenzio. Profonda e intensa riflessione. Poche domande ben formulate e già gravide delle loro risposte. Comprensione. Ascolto.
Non entro nel merito di considerazioni storiche, culturali o religiose legate a questi luoghi poiché non ho alcun titolo per esprimermi (almeno pubblicamente), e lascio a ciascuno di serbare in cuor suo le proprie; però vorrei raccontare nei prossimi tre post quanto vissuto e provato. Il racconto sarà denso…
Stando in questi luoghi ho osservato il manifestarsi di una condizione predominante, sia dentro che fuori di me: la battaglia tra il rumore e il silenzio. Era stata la voglia di maggior silenzio a condurmi così lontano e invece un gran rumore mi ha accolto al mio arrivo in entrambi i posti, nonostante che molto di ciò che era attorno a me sembrasse fatto per sostenermi in questa mia rincorsa alla quiete. Annovero fra questi sostegni anche le innumerevoli scritte o cartelli che, molto diffusi in entrambi i posti, agivano come un richiamo continuo invocando la fatidica parola: silenzio (che, data la peculiarità dei luoghi, era sempre scritta anche in latino: silentium).
Come dicevo, nonostante questa mia aspirazione alla partenza, la prima sensazione avuta all’arrivo è stata esattamente opposta: rumore …rumore …rumore. Tanto rumore, fuori e dentro di me, come sottofondo di tutto. Un frastuono fatto di pensieri associativi e circolari, di confronti tra ciò che vedevo e ciò che mi sarei aspettato di vedere (che veloce si convertiva quindi in giudizio); un frastuono fatto di emozioni poco nutrienti, generate da un forte stato d’identificazione con luoghi, persone e cose; un frastuono fatto di azioni compiute meccanicamente, senza spessore e profondità, in totale assenza di presenza e volontà. Insomma, un tutto innaturalmente (perché inaspettatamente) rumoroso generato dal continuo tentativo di ricondurre il nuovo (che stavo sperimentando per la prima volta) dentro alle solite cornici del mio noto. Cattiva abitudine comune a molti rappresentanti della nostra specie! E proprio due di quelle scritte sono state il mio ancoraggio, il mio richiamo, la mia sveglia.
Una, la prima, l’ho vista a Gerusalemme, alla quarta stazione della via crucis, scritto sull’arco di una galleria che scendeva in una grotta dove i pellegrini vanno a meditare in contemplazione. L’altra, l’ho vista a Medjugorje, in cima al monte delle apparizioni, al termine della via crucis (…anche qui!?) che ha la sua partenza posizionata appena sopra il luogo della prima manifestazione della Madonna. A differenza di Gerusalemme, questa volta ho lasciato che la vista del cartello agisse come un vero richiamo, e non più solo come un suggerimento o una semplice richiesta ordinaria fatta al visitatore. Volevo che risuonasse come un ordine imperativo senza diritto di replica. Penso sia stato possibile perché mi sono concesso la possibilità di chiedermi che cosa intrinsecamente significassero quegli inviti, aldilà dell’ovvietà del significato della parola.
Il Silenzio si è così manifestato, magicamente e nella sua semplicità, per differenza nel confronto tra il rumore ricorrente nella mia vita ordinaria e la mia idea di pace assoluta. Si è trattato di una semplice sottrazione aritmetica: Pace Assoluta – Rumore = Silenzio.
All’arrivo avevo ricevuto una semplice indicazione da chi mi aveva prima invitato, poi orientato e, in fine, in parte guidato nell’esperienza di Gerusalemme. Ci era stato detto:
Andate per la città e osservate.
Fuori, vedrete molte contraddizioni
e sentirete molto rumore.
Voi cercate il silenzio dentro di voi.
Girovagando per Gerusalemme ho così potuto scoprire che il gran tumulto lo facciamo soprattutto noi, dentro, mentre fuori si manifesta la speculare riflessione della nostra condizione interiore.
Da queste due esperienze di silenzio mi porto a casa soprattutto una consapevolezza: nella vita (certamente nella mia vita) è utile parlare meno e restare maggiormente in ascolto, soprattutto di cose che non conosco ma che troppo spesso presumo di conoscere. Dovrei dedicarmi di più al fare, allo sperimentare. Sento che prima di parlare di qualsiasi cosa, prima di dare una risposta a una domanda, prima di esprimere un pensiero su qualsiasi cosa è utile ricercare un momento di silenzio, di ascolto, un luogo neutro in cui lasciare che le cose siano ciò che sono. O meglio, che le cose possano essere ciò che sono, senza privarle di questa possibilità costringendole alla forma che noi vogliamo. Nel tentarvi, e nel riuscirvi in parte, ho osservato che poi accade di decidere di rimandare il parlare, se non addirittura di rinunciarvi del tutto.
Nel silenzio si crea uno spazio, lo spazio della possibilità. La possibilità prima di ascoltare e poi di sperimentare. Ascoltare per capire cosa stia veramente accadendo fuori. Sperimentare per comprendere. Sperimentare per produrre un punto di vista nuovo, per quanto ancora soggettivo, su una cosa e smettere di credere che le cose siano solo ed esclusivamente come finora ci è stato raccontato o detto di credere che esse siano. Ascoltiamo poco e veniamo ascoltati poco. Veniamo ascoltati poco perché l’altro è come me, non mi ascolta; l’altro è come te, non ti ascolta.
Dove non c’è silenzio, non c’è ascolto. Dove non c’è ascolto, non c’è comprensione. Dove non c’è comprensione, non c’è possibilità.
Il rumore domina dappertutto. Facciamo silenzio dentro e il rumore cesserà fuori.
E’ nel rumore, nel caos, che di solito si viene derubati, e quasi sempre avviene senza che ce se ne accorga. Accade nelle strade delle città, col portafogli. Accade nei luoghi di lavoro, con le idee e i progetti. Accade nelle case e nelle famiglie, con gli affetti, così come accade nel tessuto sociale, con le relazioni. Accade nei governi, con la cattiva gestione della politica. Accade nelle relazioni internazionali, col deprecabile uso strumentale degli eserciti e della guerra.
Ma è nello stesso rumore che si può derubare al rumore sé stesso. Non se ne accorgerà, perché il rumore è ignorante. Il rumore ignora il silenzio. E quando si accorgerà di essere stato derubato sarà oramai tardi, perché regnerà già sua Maestà il Silenzio.
In questo periodo di tumulti sociali, finanziari, politici, potremmo costituire un movimento coscienzioso: il Movimento del Silenzio.