Avete presente quella sensazione che si prova quando si torna in un luogo noto, cesellato nella memoria in minuti dettagli, fonte di piacevole certezza negli anni per via di alcune caratteristiche distintive? E del profondo straniamento che genera la scoperta che quel luogo è invece profondamente cambiato, frantumando la rappresentazione quasi mitica che ci è appartenuta per anni? Ebbene, quel luogo, oggi, è la Silicon Valley.
Licenziamenti a valanga da parte delle Big Tech
In soldoni, perché di questo si tratta, le Big Tech californiane stanno licenziando a raffica. Dall’oggi al domani, decine di migliaia di persone hanno perso il proprio lavoro a Google, Amazon, Facebook, Microsoft, Twitter. Alcuni dipendenti di Google, per fare un esempio, hanno scoperto di essere stati licenziati da un bip e una lucina rossa anziché verde, quella attivata dal pass che ogni mattina passavano su un lettore all’ingresso dell’edificio. Un trattamento agli antipodi con la nomea, fin qui meritata, che Google si è creata negli anni: quella di un’azienda in cui le persone di valore avrebbero potuto lavorare per tutta la vita, spostandosi in alto sulla scala gerarchica e da un progetto all’altro.
Nella sola area di San Francisco, negli ultimi mesi oltre 80 mila persone sono state licenziate dalle aziende digitali, e altre lo saranno nelle settimane a venire. Che cosa sta succedendo alla Silicon Valley?
Benvenuti nell’anno dell’efficienza
Forse la sintesi più accurata arriva dalla parent company di Facebook, ossia Meta, che descrive il 2023 come “l’anno dell’efficienza”, quello in cui la rimozione di numerosi strati di middle management porta a processi decisionali più veloci e una ristrutturazione dei team orientata all’efficacia e alla profittabilità. La risposta dei mercati a questa scelta è stata, manco a dirlo, un balzo del 23% del titolo in Borsa e il Nasdaq alle stelle.
E a proposito di parent companies: il genitore di Google, Alphabet, è decisamente sulla stessa lunghezza d’onda. Il super CEO di Alphabet e Google, Sundar Pichai, parla di un “importante viaggio per ridefinire la nostra struttura di costi in maniera stabile e duratura”. Ma l’era pandemica non aveva fatto incassare cifre record?
Sì, la pandemia è stata una manna dal cielo per i colossi del web, che però avevano assunto a dismisura proprio per stare dietro al livello di richieste del mercato. Oggi quel surplus, insieme però a fette consistenti di personale che era in azienda da ben prima delle vette pandemiche, è stato brutalmente azzerato, come una fronda dannosa alla salute dell’albero.
Gli adulti sono tornati
Nel mentre Google, che in un trimestre è stato capace di qualcosa come 17 miliardi di utili, ha comunque licenziato migliaia di persone per la prima volta nella sua storia, mentre Pichai ha incassato 200 milioni di bonus in forma azionaria.
Ci sono dettagli che hanno un valore anche simbolico. Nella Silicon Valley che conoscevamo, i pacchetti azionari erano uno dei benefit chiave da proporre ai talenti per convincerli a salire a bordo, per pavimentare insieme la strada del futuro digitale delle società contemporanee. La mitologia della Valley si è interamente costruita sul trattamento spettacolare riservato ai lavoratori: stock e stipendi da favola, pranzi di sushi, massaggi sul luogo di lavoro e svariati altri benefit che ci facevano guardare alla Valley come a un luogo altro, che funzionava secondo regole diverse che si era creata lei stessa in un processo di definizione identitaria, in cui il merito e il talento erano riconosciuti e valorizzati come mai prima nella storia del lavoro.
Al tempo non c’erano i “parents”, Alphabet e Meta, a incombere sulla vita e soprattutto la visione del futuro di Google e Facebook. A quanto pare, dopo una stagione unica e evidentemente irripetibile, gli adulti sono tornati. E queste colossali e iconiche Big Tech si sono infine svelate per quello che sono, o sono inesorabilmente diventate, ossia macchine da soldi che non guardano in faccia nessuno nel perseguire l’unica vera specialità della casa: il profitto.
Il ritorno dell’autorità e la fine di un’epoca
Caduta la maschera, è crollato il sogno della Silicon Valley. Quelle aziende non sono più speciali. Seguono le regole del gioco, o provano a influenzarle a proprio beneficio, esattamente come tutti gli altri. Sacrificano percorsi e relazioni professionali anche di lunga data sull’altare dell’efficienza. E incarnano ormai perfettamente la tendenza al bossism, ossia al ritorno della gerarchia e dell’autorità come chiave di volta dei sistemi lavorativi.
I più attenti l’avranno senza dubbio colto da tempo. Le Big Tech hanno spostato il focus dall’edificazione di una mitologia contemporanea all’esercizio del pugno di ferro nella guida dell’Olimpo digitale. E così facendo si sono umanizzate, abbracciando tutti i vizi mortali, prima tra tutte la smania di denaro.
Finisce un’epoca, possiamo dircelo senza ipocrisie. Il nerd ultragratificato che mette il suo talento al servizio di epopee cambiamondo è oggi uno qualunque, uno di noi, sacrificabile da quella Valley che tra pandemie, crisi geopolitiche, energetiche e climatiche, bada esclusivamente alla propria autoconservazione, pardon, al proprio tasso di crescita.
No, i colossi digital non sono in crisi. E faranno qualunque cosa pur di non esserlo mai.