E’ chiaro, è evidente, è lampante: il sistema capitalista è sotto assedio. Esso è stato indicato come la principale delle cause dei problemi sociali, ambientali ed economici che stiamo affrontando, e ha prosperato per anni a spese del resto della comunità. La legittimità civile delle imprese è scesa in quest’ultimo decennio a livelli mai visti prima nella storia recente. Questa sfiducia, così aumentata recentemente, e questa diffidenza verso il mondo degli affari, sta inducendo i governanti dei paesi a impostare politiche economiche così indiscriminate da minare alle sue radici la forza competitiva delle aziende che è la linfa della crescita economica.
Da uomo anche d’azienda quale sono, ho potuto incontrare e conoscere esponenti di molte realtà aziendali oltre la mia e ho potuto riflettere su come la gran parte del problema sociale che stiamo fronteggiando possa risiedere molto anche nelle aziende stesse, nei loro leader e nel loro top management, tutti imprigionati in una comoda cella di rigore alle cui finestre vi sono tre sbarre inespugnabili:1. L’assenza di una Visione a lungo termine, quella luce che consente di rispondere alla domanda “Dove voglio andare?”, è spesso causa di disorientamento o, peggio, di orientamento accidentale dell’azienda.2. La mancanza della condivisione di una Missione che correli strettamente la pratica quotidiana del business a un obiettivo intimo, strettamente aspirazionale e sincero, che contempli il bene proprio, il bene dell’azienda, ma anche il bene della comunità tutta.
La capacità di rispondere sempre coerentemente e trasparentemente alla domanda: “Perché lo voglio?” è la vera soluzione nei momenti di indecisione, quando si insinua il dubbio, e nei momenti di maggiore debolezza e fragilità.3. Infine vi è l’evidente incapacità di sapersi rinnovare. Non solo il sistema non è stato capace di assecondare il passaggio generazionale ma nemmeno esponenti delle nuove generazioni sono stati finora capaci di accreditarsi come futuri leader. E poco serve domandarsi se sia così perché non sono stati educati e orientati a questa possibilità da chi li ha preceduti. “Non sappiamo se cambiando si migliora; ma sappiamo che per migliorare bisogna cambiare” – diceva Churchill – e io non vedo attorno a me la volontà di cambiare. Vedo (e sento) invece, una sempre più ricorrente tendenza a lamentarsi, senza che però vi sia un’altrettanto ricorrente attività nella proposizione di risoluzioni.
Dobbiamo trovare la forza di abbandonare le illusioni e le volgarità dell’ Età del Ferro e lasciarci attrarre dalla luce dell’Età dell’Oro.Dobbiamo lasciare la periferia e tutti i nostri attaccamenti e tornare al cuore, al Centro del Tutto, dove non ci sono più ‘solo Io’ ma ‘Io e tutto l’insieme di cui Io sono parte integrante’.
Nelle imprese dobbiamo domandarci come riuscire a ricollegare il successo dell’azienda con il progresso sociale. Il vero valore da perseguire non è più (solo) la responsabilità sociale, la filantropia, o anche la semplice sostenibilità, ma l’individuazione di un modo ‘nuovo’ per raggiungere quel successo economico che è necessario alla sopravvivenza di un’impresa e alla produzione di un surplus (il margine) che, una volta rimesso in circolo, genererà altro benessere per l’insieme.
Dobbiamo spingere al declino finale il Tempo dell’Accumulo e contribuire ad avviare il Tempo della Condivisione.Un numero crescente di aziende note, quali ad esempio GE, Google, IBM, Intel, Johnson&Johnson, Nestlé, Unilever, e Wal-Mart, hanno già intrapreso notevoli sforzi per creare valore-condiviso e contribuire, quindi, a riconciliare l’intersezione tra la società civile e le performance aziendali. Eppure la curva di sviluppo di questa sensibilità da parte di molte altre aziende è ancora bassissima. Forse perché chi dovrebbe promuoverla è lo stesso di chi ha più da perdere da questa adozione?
A dirigenti e amministratori deve essere chiesto, con forza!, di sviluppare nuove competenze, acquisire nuove conoscenze e sviluppare maggiore sensibilità per individuare (e possibilmente anticipare) le esigenze della società, soddisfandole.Le aziende di domani dovranno sviluppare una maggiore comprensione delle vere-nuove basi della produttività aziendale, e indagare la possibilità di co-esistere nella società abbattendo la barriera che ancora difende i confini tra profit, no-profit, low profit e…right profit.
Il governo, dal canto suo, dovrà imparare a disciplinare e regolamentare i modi che consentiranno la condivisione di questo nuovo-valore.Il capitalismo è un veicolo dotato di una forza senza pari per soddisfare i bisogni umani, per migliorare l’efficienza in genere, per creare posti di lavoro e ricchezza che contribuisca all’aumendo della qualità della vita; ed è il capitalismo che può fare la differenza nel trasformare la visione di un uomo dallo spirito buono da idea a materia, generando benessere concreto per molti.
Le imprese, proprio in quanto tali, più che i donatori di beneficenza o i filantropi, sono la forza più potente che abbiamo a disposizione per affrontare le questioni urgenti che si pongono quotidianamente di fronte a noi su scala planetaria. Il momento per una nuova concezione del capitalismo è ora. Le Mission delle aziende devono essere ridefinite al fine di guidare il business alla creazione di valore da condividere e non più da accumulare. Questo, più di tutto, faciliterà la prossima ondata d’innovazione e la crescita della produttività nell’economia globale. Per chi è imprenditore, per chi è manager, dirigente o impiegato, imparare a creare valore-condiviso sarà la migliore occasione per legittimare il business a cui tutti i giorni si dedica, oltre che per dare un maggior senso alla propria vita.