L'incontro organizzato a Fiume Veneto da PordenonePensa è stato un'occasione per confrontarmi con un pubblico attento e sensibile sul grande tema della sostenibilità nelle organizzazioni.
Stando ai numeri dell’Onu, a causa della pandemia quest’anno il consumo pro capite di carne dovrebbe scendere ai minimi degli ultimi dieci anni con un calo del 3% rispetto all’anno scorso. Tuttavia, questo dato rientra in un calo generale della spesa delle famiglie che comprende anche quella alimentare nella quale la carne è un articolo certamente caro.
Anche il lungo periodo di chiusura di ristornati e locali ha contribuito al calo delle vendite e dunque del consumo, così come l’individuazione di focolai di infezione nell’industria della trasformazione della carne, soprattutto negli Stati Uniti, creando appunto grossi problemi di approvvigionamento ha determinato il conseguente minor consumo.
Sempre restando oltreoceano, la vendita della cosiddetta carne sintetica, molto amata da vegani e vegetariani, con la pandemia ha registrato un incremento del 264%. E non possiamo di certo ritenere un caso che abbia già varcato la soglia di uno dei più famosi templi del fast food.
Inoltre, anche relativamente all’Unione Europea le proiezioni dell’Onda prevedono una contrazione del consumo di carne, quella di maiale addirittura scenderà ai livelli del 2012. In Germania, ad esempio, il consumo di bratwurst e cotolette è legato al solo 26% della popolazione rispetto al 34% del 2015.
Detto ciò, tuttavia, non esistono prove inconfutabili o ragionevoli per ritenere che la pandemia da Covid-19 abbia cambiato significativamente il modo in cui l’umanità considera il consumo di prodotti animali né una mutata nuova consapevolezza che le scelte individuali comprese quelle alimentari, influiscono sul sistema globale, e non solo individualmente, anche per quanto riguarda la salute personale e collettiva.
Nonostante la comunità scientifica globale ribadisca che le pandemie, quella attuale e le future ancor peggiori, siano direttamente collegate alla produzione intensiva di prodotti animali, è oltremodo incomprensibile e per questo significativo, che smettere di mangiare carne, o almeno limitarne radicalmente il consumo, rimane una pratica in gran parte ignorata. Eppure, una riduzione del consumo di pollame, maiale e carni bovine non solo eviterebbe il rischio di future malattie zoonotiche ma comporterebbe anche immediati benefici a favore dell’ambiente, in quanto verrebbero ridotti sia le emissioni di gas serra, sia il consumo del suolo e delle acque sia il loro inquinamento.
Al contrario dell'industria della carne sintetica che è innovativa e sempre alla ricerca di nuove formule per migliorare i propri prodotti, i produttori della carne animale sono piuttosto preoccupati per il futuro incerto dei consumi. Ma è proprio in questo spazio di incertezza, in questo periodo di interregno che può e deve avvenire il cambiamento. L’aumento delle innovazioni alimentari e dei sostituti della carne dimostra che il cambiamento potrebbe venire proprio dall’interno dell’industria. Anche i maggiori produttori di carne del mondo, come Perdue, Tyson, Cargill e Smithfield, si sono recentemente uniti alla rivoluzione meat-free lanciando sul mercato nuove prodotti di carne vegetale.
Anche questo settore, il cui modello è da tempo contestato da alcune classi sociali e dalle generazioni più giovani cresciute con una maggiore sensibilità ai temi dello sviluppo sostenibile non solo ambientale, a causa della pandemia da Covid-19 può avere il suo nuovo Big Bang. Il suo 0.0, cioè un nuovo inizio.