“La biodiversità del mondo sta diminuendo più velocemente che in qualsiasi altro momento della storia umana e si stima che 1 milione di specie siano a rischio di estinzione” ha affermato il Guardian in un articolo di alcuni giorni fa intitolato “Biodiversity loss is a risk to the global financial system” e firmato da Geoff Summerhayes e Laura Waterford.
Prendendo spunto da una recente analisi globale sull'economia della biodiversità commissionata dal governo del Regno Unito - ricerca che ha inequivocabilmente evidenziato come dalla biodiversità del nostro pianeta dipendano le fondamenta del nostro intero sistema economico - il quotidiano britannico sposta il focus sulla biodiversità in quanto fattore centrale anche per il settore finanziario. Vieppiù dopo che i convenuti allo scorso G7 hanno riconosciuto "con grave preoccupazione che le crisi senza precedenti e interdipendenti del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità rappresentano una minaccia esistenziale per la natura, le persone, la prosperità e la sicurezza".
Sottolineare che esistono potenziali parallelismi tra il rischio ambientale e le altre responsabilità degli istituti finanziari, come ad esempio l’antiriciclaggio, è un passo necessario. Così come accadde con il tema dell’antiriciclaggio, che ha reso gli istituti stessi i primi responsabili nel contrasto a tali pratiche, secondo il Guardian l’orientamento generale intende oggi responsabilizzare il settore finanziario anche nella gestione dei rischi economici associati al danneggiamento dell’ambiente, affidandogli l’onere di garantire di non essere terreno di conquista per quella finanza erosiva che sta distruggendo la natura.
Un elemento a supporto arriverà dalla task force internazionale sull'informativa finanziaria relativa alla natura (TNFD o Task force on Nature-related Financial Disclosures ), la cui nascita è stata annunciata nei mesi scorsi e che avrà il compito nei prossimi due anni di elaborare uno standard globale per la reportistica sui rischi legati all’ambiente e alla biodiversità. Il nuovo centro di studio punta a fornire alle istituzioni finanziarie e alle aziende strumenti e criteri necessari e affidabili per valutare rischi e opportunità legati all’impatto delle attività economiche sugli ecosistemi naturali.
In estrema sintesi, il TNFD potenzialmente avrà la capacità di deviare il flusso di capitale di tutto il sistema finanziario globale lontano da attività che causano la distruzione o il danneggiamento della natura, per indirizzarne la potenza di fuoco verso quelle che invece risultano essere positive per la natura. Poiché questo progetto va ad integrare il lavoro fatto dalla Task force on Climate-related Financial Disclosures (Tcfd), che è diventato determinante per l’integrazione della questione dei rischi finanziari legati al clima, ci si augura che lo diventi anch’esso grazie anche all’ampia platea di stakeholder che intende consultare a livello globale, con l’obiettivo di costruire standard di trasparenza condivisi dai principali player di mercato.
Sono molte le realtà globali che oggi avvertono fortemente il bisogno di strumenti dedicati alla finanza per la natura, consapevoli che più della metà della produzione economica mondiale dipende proprio da essa. Che si tratti di una dipendenza moderata o totale, secondo i dati del World Economic Forum (Wef) dalla natura vengono generati ogni anno 44 mila miliardi di dollari di valore economico.
Ma occorre chiedersi da quale natura potremo mai derivare valore se abbiamo già causato l’estinzione dell’83% dei mammiferi selvatici e del 50% delle piante, stando ai dati del Proceeding of the National Academy of Sciences (Pnas) statunitense. Se proprio non riusciamo a vedere la perdita di biodiversità come un irreparabile autogol dell’umanità, proviamo allora a considerarla un enorme rischio per la stabilità aziendale e finanziaria.
E proviamo inoltre a rovesciare il ragionamento e la prospettiva: intraprendere azioni per, al contrario, preservare e tutelare la biodiversità ha un potenziale enorme, che il World Economic Forum quantifica in fino a 10.100 miliardi di dollari di valore aziendale annuo, cifra che si accompagna alla creazione di 395 milioni di posti di lavoro entro il 2030.